Rcs, con la battaglia tra Intesa e Unicredit si apre un altro fronte

Rcs, con la battaglia tra Intesa e Unicredit si apre un altro fronte

Il «day after» del cda di Rcs su aumento di capitale, piano industriale e risultati preliminari ha consentito di stemperare, almeno in parte, le tensioni accumulate negli ultimi giorni. Ma si tratta di una tregua in vista del consiglio decisivo che si svolgerà tra circa due settimane e che dovrà fissare alcuni punti-chiave, in primis il prezzo al quale la ricapitalizzazione sarà effettuata.
A bocce (quasi) ferme, dunque, è possibile effettuare alcune considerazioni sullo stato dell'arte. In primo luogo, la ristrutturazione finanziaria di Rcs è stata un percorso a ostacoli. Le posizioni divergenti nel pool di banche finanziatrici, in primis Intesa e Unicredit, si sono riverberate nel board. I numeri parlano chiaro e, quindi, non sono affatto opinabili. L'aumento di capitale complessivo sarà di 600 milioni come richiesto da Piazza Cordusio e dal suo ad Federico Ghizzoni, che ha sempre manifestato perplessità sulla possibilità di conseguimento dei target proposti dall'ad Pietro Scott Jovane. Non tanto per quanto riguarda i ricavi (previsti stabili a 1,5 miliardi fino al 2015) quanto per il recupero di marginalità demandato a una non ancora dettagliata digitalizzazione dei contenuti (oggetto anche delle rimostranze del Cdr del Corriere).
La ricapitalizzazione sarà però in due tranche della quale la prima di almeno 400 milioni da realizzarsi entro luglio. Il taglio corrisponde all'importo «light» che vedeva favorevoli sia il deus ex machina di Rcs e presidente del Cds di Intesa Giovanni Bazoli che lo stesso Scott Jovane. Come detto, però, a parte lo sconto sul Terp di almeno il 50%, non c'è ancora nessun dettaglio sul prezzo. Circostanza singolare visto che tra due mesi tutto si dovrà chiudere.
Il secondo punto di attrito è stato lo spread da applicare alle nuove linee di credito da 575 milioni che sostituiranno quelle da 800 in scadenza ad aprile (la differenza sarà rimborsata coi proventi dell'aumento). Unicredit ha ottenuto la riduzione dell'erogato, ma Intesa ha fatto sì che il tasso non fosse troppo oneroso considerato che per l'editrice era a rischio la stessa continuità aziendale.
Ultimo ma non meno importante le dimissioni, a sorpresa, del presidente di Unicredit, Giuseppe Vita, dal board Rcs. Al momento del suo insediamento a Piazza Cordusio aveva dichiarato che sarebbe rimasto tra i consiglieri del Corriere e che non vedeva conflitti di interesse con la presidenza dell'editore tedesco Springer, carica che tuttora detiene. Evidentemente le successive valutazioni lo hanno indotto a cambiare idea e nell'ultimo cda utile (proprio quello dove sono riecheggiate le riserve di Unicredit) per essere sostituito dall'assemblea si è dimesso.
Ironia della sorte vuole che spetti a Mediobanca cercare di ricomporre un puzzle sempre più complicato. Da un lato un patto maggioritario (58,1%) ma costretto a giocare in difesa dagli attacchi di Diego Della Valle che ne chiede lo scioglimento. Dall'altro lato, la ritrosia dei piccoli pattisti e di grandi soci fuori patto come Rotelli (16,5) e Benetton (5%) a seguire evoca lo spettro di un inoptato dai risvolti imprevedibili. Ai prezzi attuali la diluizione sarebbe del 56% circa. E tutto questo può implicare cambiamenti oggi impensabili. Ad Alberto Nagel il compito anche di mediare con il suo principale azionista.


A Scott Jovane invece toccherà trovare in tempi molto brevi la strada verso la redditività sia con le dismissioni (Dada e Periodici in primis) sia con i tagli del personale. Rcs ha perso circa 380 milioni l'anno scorso e solo la cessione di Flammarion ha evitato un rosso peggiore. E il 2013 è cominciato male.

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