Renzi forza la mano: golpe alla Cdp

Blitz fallito: presidente e ad non si dimettono. Ma il premier promette: «Cambieremo 5 consiglieri e decade il cda»

Dimissioni rinviate. La decisione del governo è presa ma ieri né il presidente Franco Bassanini, né l'ad Giovanni Gorno Tempini si sono dimessi nonostante la moral suasion di questi giorni. Così ieri il cda straordinario della Cassa Depositi e Prestiti si è tenuto in un clima da fine impero, assediato da media e con i riflettori puntati. Ma dalla riunione non è uscito nient'altro che la «manifestazione di interesse» a partecipare con un miliardo «in qualità di investitore garantito» al capitale della società di servizio prevista dal Salva Imprese. Decisione presa da tempo. Il miliardo per lo sviluppo non è uno schiaffo al governo per dimostrare che la Cdp già da anni – dalla riforma dei governi Berlusconi – funziona da volano dell'economia e che quindi non serve un ricambio al vertice per trasformarla in una «banca per lo sviluppo».

Il vero schiaffo all'esecutivo Renzi, firmato Bassanini, è che al cda non siano arrivate fuorisacco né le sue dimissioni, né quelle di Gorno Tempini. Queste ultime sono ormai semiufficiali: l'ad è anche un consigliere del ministero del Tesoro e la volontà del governo azionista è chiara. Già ci sono calcoli sulla liquidazione, che sarà pari ai compensi per il resto del mandato. Meno scontate le seconde. La sorte del presidente anche ieri, nonostante le molte indiscrezioni (anche di provenienza governativa), non era chiara. Bassanini è espressione delle fondazioni, che hanno una quota di minoranza (18%) del capitale, ma alle quali spetta per statuto la nomina del presidente e di altri due consiglieri su nove. E siccome dalle fondazioni finora non è arrivata nessuna richiesta di dimissioni, il presidente ha intenzione di restare al suo posto. I contatti tra Bassanini e il presidente dell'Acri Giuseppe Guzzetti sono costanti e sono proseguiti anche ieri. Per azzerare tutto, al governo basterebbe una lettera di dimissioni dei cinque (sei con Gorno Tempini) consiglieri del ministero dell'Economia, che comporterebbe lo scioglimento del consiglio. E Renzi, in serata è stato infine chiaro: «Per motivi tecnici dobbiamo per forza nominare 5 persone nuove, e questo porta a far cadere l'intero cda e, quindi, pensando che gli attuali vertici hanno fatto un buon lavoro» occorre «intervenire perchè Cdp sia ancora più forte».

Ma poi la nomina del nuovo presidente spetterebbe di nuovo alle fondazioni. E il governo non vuole sorprese. Si sta parlando di eventuali paracaduti per Bassanini. Di nuovo la Corte costituzionale oppure la guida delle Ferrovie. Ma per ora sono solo voci. Altre voci riguardano l'allargamento del consiglio di amministrazione di Cdp a due uomini delle tlc: Stefano Firpo e Roberto Sambuco, il primo dirigente, il secondo ex dirigente del ministero dello Sviluppo.

Il piano di Renzi (o meglio quello del suo consigliere Andrea Guerra) resta quello di mettere alla presidenza Claudio Costamagna e come amministratore Fabio Gallia. Meno chiara la mission che il premier vorrebbe dare alla nuova Cdp. Tra le letture più accreditate (anche alla luce della resistenza di Bassanini) quella che il governo voglia mettere le mani in uno dei più grandi serbatoi di risparmio del Paese (250 miliardi dalle Poste) per fare politica industriale.

Ad esempio per decidere come fare la rete in fibra ottica. L'accelerazione sulle nomine ai vertici della Cassa sarebbe infatti dettata dalla anche dalla linea scelta da Bassanini sul tema: avanti con la partecipata Metroweb, anche se Telecom non ci sta.

Un rischio troppo grande per Renzi che avrebbe, per ora, lasciato passare a Palazzo Chigi un'altra linea, quella di Guerra appunto, che vuole tenere dentro Telecom. Magari imponendogli di cambiare la tecnologia della rete, principale asset del gruppo, eliminando quello che resta del doppino in rame. Un progetto molto costoso. A meno che non si faccia con i soldi di Cdp.

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