Sostiene Mario Draghi che i greci «stanno già rinunciando adesso al benessere con i tagli dei salari in tutti i settori, ma stare dentro lEurozona è sempre meglio che starne fuori». Difficile dar torto al presidente della Bce. Anche se ha tutta laria di essere un ossimoro, dalla riduzione del potere dacquisto dei salariati dovrebbe derivare un recupero di competitività, quanto mai necessario a un Paese che per troppi anni ha vissuto - anche falsificando le carte - al di sopra delle proprie possibilità.
Qui, però, sta il problema. Lausterity imposta, con decurtazioni delle buste paga fino al 20% e delle pensioni e licenziamenti di massa, rischia di innescare una sorta di sindrome da retrocessione. Non quella indotta dai votacci affibbiati dalle agenzie di rating. Nè quella legata a un possibile default. Piuttosto, si tratta di quellincapacità a reagire che colpisce, per fare un banale esempio, le squadre di calcio abituate a salvarsi senza troppi problemi ma che, dimprovviso, si trovano a lottare per non finire in serie B. Spesso non ci riescono: difettano dellattitudine al sacrificio, e sono prive degli anticorpi necessari per reagire.
Oggi la Grecia appare senza barriere immunitarie, fiaccata comè da una recessione pesantissima e da prospettive quanto mai incerte di recupero. Senza tener conto delle teorie complottiste secondo cui il Paese ellenico viene usato come laboratorio per testare fino a che punto può reggere a ripetute manovre draconiane, è fuor di dubbio che nelle attuali condizioni i consumi privati non ripartiranno neppure nel medio termine e che non si vedono spazi per gli investimenti da parte delle aziende. Alla domanda su quanto tempo abbia ancora davanti Atene prima di rimettere in sesto la sua economia, Draghi non ha infatti indicato nessuna data.
Il rischio, più che concreto, è insomma che qui la cosiddetta ricetta baltica adottata da Lettonia e Lituania non funzioni. A un passo dalla bancarotta dopo il decennio doro dominato dal boom di banche ed edilizia, il governo di Vilnius è stato costretto a tagliare la spesa pubblica del 30%, a sforbiciare i salari (del 20 o del 30%) e le pensioni (dell11%); inoltre, ha dato un bel giro di vite fiscale agli alcolici, ai prodotti farmaceutici e ha tassato più pesantemente i redditi delle aziende. Le misure di svalutazione interna hanno portato allo stremo molti pensionati, allargato la disoccupazione, aumentato i suicidi, ma non hanno scatenato proteste di piazza. Lobiettivo di entrare nelleuro nel 2014 viene condiviso da gran parte della popolazione, disposta dunque a sacrificarsi.
Ma la Grecia nelleuro cè già. E anche se oggi paga il prezzo salato dellaver voluto a tutti i costi aderire alla moneta unica, pochi accettano come un fatto ineluttabile lessere costretti a tirare la cinghia. Draghi non vede però vie duscita, se non quella di accettare la medicina amara del risanamento. «Unuscita dalleuro - spiega il presidente della Bce - , con la possibilità di svalutare la propria moneta, non migliorerebbe nulla».
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