Economia

Ripresa Usa con luci e ombre. L'occupazione resta al palo

Dati mensili sul lavoro molto peggiori delle previsioni. La Borsa brinda: si allontana lo stop agli aiuti della Fed

Ripresa Usa con luci e ombre. L'occupazione resta al palo

L'errore è di quelli da matita rossa, una roba da absolute beginners. Principianti, colti in fallo per stima clamorosamente ciccata. Gli esperti in previsioni si aspettavano ancora ricchi premi e cotillon dal mercato del lavoro Usa. Così, avevano messo in conto, per aprile, la creazione di un milione di nuovi posti. Altri mattoni per solidificare la ripresa, un'altra passata di gomma sull'era Covid. Il dipartimento al Commercio li ha invece gelati iscrivendo a bilancio mensile solo la miseria di 266mila assunzioni. Bloomberg ha definito il dato semplicemente «scioccante». Wall Street, che ormai da tempo ha introiettato un modo peculiare di declinare le notizie, ha invece spinto gli indici su nuovi massimi. Nell'inciampo, la Borsa di New York vede i sintomi di una recovery non così robusta da indurre la Federal Reserve a porre in discussione il ritiro graduale degli aiuti, pari a 120 miliardi di dollari al mese, nonostante le crescenti tensioni sui prezzi delle materie prime (ieri il rame ha stabilito un nuovo primato storico, a 10.200 dollari la tonnellata, e le quotazioni dei minerali ferrosi sono arrivate a 202,65 dollari, massimo dal 2008).

Stavolta, però, l'interpretazione dei mercati non è poi tanto sgangherata. Basta ascoltare la stessa banca centrale mentre racconta il motivo per cui l'occupazione complessiva è rimasta inchiodata a quota 8,2 milioni di posti, quindi ancora al di sotto del livello pre-pandemico. Il punto di vista è quello del presidente della Fed di Minneapolis, Neel Kashkari, la cui voce sembra ricalcare quella più volte riecheggiata in Italia al grido di «Sussidistan!». Colpa, insomma, degli assegni di sostegno federali se la gente preferisce restare sul divano di casa a trangugiare cibo spazzatura anziché finire a libro paga. «Sappiano che la dinamica è questa», ha detto Kashkari. Subito pronto a fornire un assist a porta vuota a Wall Street: «C'è bisogno di ridurre gli stimoli? Il rapporto sul lavoro indica che abbiamo una lunga strada da percorrere e non dichiariamo prematuramente vittoria».

Insomma, il tapering è come il paradiso: può attendere. Non è tuttavia chiaro se il governatore dell'istituto centrale di Minneapolis rappresenti una sorta di ultimo giapponese rimasto da solo a combattere una guerra già finita, o se invece sia l'espressione un po' naïf dell'intera Fed avvolta nel bandierone del QE. Non lo è dopo che Janet Yellen, ora al Tesoro e prima a capo di Eccles Building, ha ventilato un possibile aumento dei tassi (il tabù dei tabù) qualora l'economia si surriscaldasse.

Il sasso è stato insomma lanciato nello stagno, ma le acque non sembrano così agitate. A differenza di quanto starerebbe accadendo alla Bce, nonostante Christine Lagarde abbia più volte ribadito che un'inversione della rotta monetaria non è prevista a breve. Ieri lo spread Btp-Bund è risalito attorno ai 120 punti base, mentre i tassi del decennale hanno toccato lo 0,93%, il livello più alto dal settembre scorso. Due spie di allarme, secondo alcuni, che si sono accese dopo che Martin Kazask, membro lettone del board, ha affermato che Francoforte sta discutendo se aumentare i propri acquisti di obbligazioni alla scadenza del Pepp (il piano di acquisti contro l'emergenza pandemica) nel caso di prospettive di inflazione immutate.

Parole che confermano il braccio di ferro in atto tra falchi e colombe e lasciano la porta aperta all'avvio del tapering a fine anno.

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