Roma«Una «santa alleanza» contro i colossi di Internet. È quella che ieri, durante l'assemblea di Confindustria Radio-Tv (la nuova associazione di Viale dell'Astronomia dedicata al settore dell'emittenza), hanno cercato di siglare Mediaset, Rai e Sky in nome della difesa di investimenti che vengono messi a rischio dal regime fiscale più favorevole del quale godono gli over-the-top come Apple, Google e Facebook.
«La mancanza di regole ci danneggia. Ci sono dei nuovi mostri che appaiono, che fanno pirateria e non pagano le tasse», ha sottolineato il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, aggiungendo che queste società «danneggiano i broadcaster (le emittenti; ndr) che producono l'80% dei contenuti multimediali». Occorrono perciò regole perché «dobbiamo essere tutti uguali».
La materia del contendere riguarda, infatti, la possibilità per i grandi gruppi multinazionali di pagare le tasse in Paesi europei fiscalmente meno invasivi facendo figurare le operazioni effettuate in Italia come scambio di servizi con la filiale situata, ad esempio, in Irlanda o in Lussemburgo. Non a caso, proprio ieri la Commissione Ue ha aperto un dossier riguardante la possibile elusione fiscale di Apple. Ma se per i big del commercio come Amazon, la questione è limitata alla compravendita di beni di consumo, molto diverso è il problema dei broadcaster che si trovano a competere con piattaforme come YouTube e Twitter che hanno meno vincoli.
E Bruxelles da questo orecchio ancora non vuol sentire. «Quando si va a parlare con i commissari europei c'è un'apertura esagerata nei confronti delle aziende di Tlc che, non potendo aumentare gli introiti del loro mercato tradizionale, vendono contenuti», ha spiegato Confalonieri ricordando come alle compagnie telefoniche sia stata dedicata la frequenza 700 costringendo i canali televisivi a migrare.
Una situazione descritta in termini ancor più preoccupanti da Rodolfo De Laurentiis, presidente di Confindustria Radio-Tv. «I giganti del web capitalizzano guadagni senza sottostare alle regole degli editori tradizionali e restituiscono pochissimo al sistema-paese in termini di occupazione e tasse», ha specificato nella sua relazione ricordando che tetti pubblicitari, par condicio, tutela dei minori e promozione delle opere europee non sono regolamenti che essi sono tenuti a rispettare. Insomma, è molto più semplice competere quando non si hanno le mani legate e questo è il caso dei colossi della net economy.
Dall'altra parte della barricata si trova, invece, una serie di operatori che deve scontrarsi con gli ostacoli delle normative e della crisi economica. Nel periodo 2008-2013 sia Rai che Mediaset hanno perso in media 200 milioni di investimenti pubblicitari ogni anno e, nonostante questo, il complesso delle produzioni si è mantenuto costante a quota 2 miliardi di euro.
Senza un'intervento politico anche l'Authority per le Comunicazioni potrà fare poco, ha sottolineato il commissario Antonio Preto. Ma, come ha spiegato il sottosegretario Antonello Giacomelli, «serve una voce unica in Europa per promuovere una riforma complessiva del sistema».
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