Scattano i dazi Usa a parmigiano & C.

Per l'Europa tariffe punitive da 7,5 miliardi. E Pil cinese mai così debole dal 1992

Scattano i dazi Usa a parmigiano & C.

Aveva le cartucce, le ha sparate. Il ripensamento in zona Cesarini non c'è stato: alla mezzanotte di ieri, quando in Italia erano le sei del mattino, Donald Trump ha fatto scattare le tariffe punitive da 7,5 miliardi di dollari che colpiscono l'Unione Europea. Un risarcimento che gli Usa hanno ottenuto dalla Wto per gli aiuti illegali ricevuti da Airbus.

Bruxelles, già sul piede di guerra e con misure di rappresaglia stabilite da settimane, è pronta al tit for tat, quella sorta di legge del taglione vista più volte nei mesi di guerra commerciale fra Usa e Cina. «Questo passo non ci lascia altra alternativa - è la minaccia della commissaria Ue per il Commercio, Cecilia Malmstrom - : se non quella di procedere a tempo debito con i nostri dazi per il caso Boeing, nel quale gli Stati Uniti sono stati colti in violazione delle norme della Wto».

L'Italia segue la vicenda con preoccupato interesse. Anche se i Paesi più colpiti sono Germania, Francia (stangata da 1 miliardo su vini e formaggi) e Spagna, facenti parti del consorzio aeronautico, e nonostante Bankitalia parli di impatto «circoscritto» per il nostro Paese, dal momento che la tassazione aggiuntiva colpisce solo l'1% dei nostri prodotti destinati agli Usa, pari cioè a 400 milioni di euro, alcuni settori si sentono sotto attacco. È il caso dell'agroalimentare, dove su prodotti d'eccellenza come il Parmigiano Reggiano sono stati caricati dazi del 25% che ne faranno lievitare il prezzo da 2,15 a 6 dollari al chilo.

Nel recente incontro avuto con Trump, il presidente della Repubblica ha ricordato come sia un rischio per tutti proseguire sulla strada delle ritorsioni commerciali, ma il nodo è ancora da sciogliere. Non ancora rassicuranti appaiono le aperture per una revisione dei provvedimenti del consigliere del tycoon, Larry Kudlow, né risultati concreti sono arrivati dall'incontro di ieri, a margine del vertice Fmi, tra il nostro ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, e il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin. Dalle varie associazioni di categoria continua infatti la conta dei danni.

Coldiretti stima un calo del 20% delle merci tricolori sulle tavole degli americani e una proliferazione del fenomeno dell'italian sounding, cioè il taroccamento dei nostri prodotti, mentre Legacoop parla di minori introiti per 7,5 milioni dai suoi prodotti lattiero-caseari. E se il Consorzio Grana chiede al governo di difendere il made in Italy per evitare ripercussioni irreversibili, lancia il grido d'allarme anche il settore moda a causa del 70% della produzione destinato all'export.

Cederà Trump? O manterrà la linea dura? Con Pechino sembra aver funzionato il lungo braccio di ferro. Il Pil cinese, nel terzo trimestre, è aumentato di appena il 6% su base annua. Era dal 1992 che il Dragone non mostrava un passo di espansione così debole. E il rallentamento sembra destinato ad accentuarsi nell'ultima parte dell'anno, quando la crescita potrebbe scivolare al 5,8%. E ciò, vista un'inflazione montante che erode il potere d'acquisto delle famiglie a causa dei forti rincari subiti dalla carne di maiale, potrebbe provocare tensioni sociali.

Un rischio che il governo di Xi Jinping, già alle prese con i disordini a Hong Kong, deve evitare. Soffiare sul fuoco delle instabilità della Cina può però essere pericoloso per la Casa Bianca. Non sono pochi quelli che consigliano al tycoon di andarci piano. Il Wall Street Journal riferiva ieri che la settimana scorsa Kudlow ha organizzato un incontro nell'Ufficio Ovale con «esperti indipendenti» in tema di commercio.

Tutti si sarebbero trovati d'accordo su un punto cruciale: un'ulteriore escalation della guerra commerciale è una minaccia per la stabilità dell'economia americana e può azzoppare le chance di strappare un secondo mandato presidenziale.

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