Il mini petrolio, precipitato ieri ai minimi da sei anni sotto 44 dollari al barile, inizia a generare effetti a macchia d'olio abbattendosi sui numeri di bilancio e le strategie di sviluppo delle oil company mondiali. Così - con un Wti a 43,96 dollari e il Brent in area 48 dollari - per le major di mezzo mondo (già penalizzate in Borsa) la nuova priorità è una sola: tagliare. «Spese e investimenti - commenta un analista - vanno completamente rivisti se si vuole sopravvivere alla luce delle previsioni sui corsi futuri dell'oro nero». Uno scenario negativo in cui, a fare da cartina di tornasole, è stata ieri per prima Royal Dutch Shell.
Il colosso anglo-olandese ha alzato il velo sull'ultimo trimestre 2014 rivelando numeri inferiori al consensus: un utile pro-forma di 3,3 miliardi di dollari (da stime di 4,1 miliardi) e un 2014 in calo, con un utile netto di 15,05 miliardi (da 16,37). In particolare, la divisione estrazione ed esplorazione è stata la causa principale del crollo. Così Shell, per salvaguardare il proprio bilancio e poter mantenere la politica di payout , ha annunciato tagli ai costi e agli investimenti per 15 miliardi di dollari tra 2015 e 2017. «È la punta dell'iceberg di una crisi generale - spiega un analista - e sono già diverse le compagnie che hanno rimesso mano ai piani». Statoil, Tullow Oil e Premier Oil hanno cancellato affari o tagliato le spese di esplorazione; Bp ha congelato gli stipendi; Chevron ha rimandato lo stanziamento 2015 per le trivellazioni; e il colosso sudafricano Sasol ha archiviato un progetto da 11 miliardi in Louisiana. Secondo Bloomberg sono state già annunciate più di 30mila dismissioni nel settore oil e si stima che i minori ricavi per il crollo del greggio dovrebbero ridurre le spese di esplorazione e produzione di oltre 116 miliardi (17%). Nei prossimi giorni decisioni simili potrebbero arrivare da Chevron ed Exxon Mobil, che sveleranno i conti venerdì e lunedì; mentre Bp seguirà martedì. Tra le oil service , ieri la francese Vallourec ha poi svalutato progetti per 1,2 miliardi.
A cascata, in tutta Europa i titoli del settore sono andati a picco contagiando negativamente anche Eni (-1,78%), Saipem (4,5%) e Tenaris (-4,27%). «A livello teorico - spiega un analista - anche le nostre aziende potrebbero svalutare i loro asset, ma tutto dipende dai prossimi mesi e, per Eni, se avverrà quella diluizione in Saipem (dal 43% sotto al 30%) che le permetterebbe di deconsolidare il debito». Mercoledì l'ad Claudio Descalzi ha disegnato uno scenario che vede nel 2015 il barile a 55-60 dollari, nel 2016 a 70 dollari e tra quattro anni a 85-90 dollari.
Secondo la società «la ripresa dei consumi nei paesi non produttori e la riduzione dell'output dagli Usa favorirà il recupero del prezzo nel medio termine». Ma non tutti sono così ottimisti e c'è chi prevede la necessità di ulteriori cali del petrolio «per disincentivare gli investimenti nello shale Usa e convincere l'Opec a un taglio alla produzione finora negato».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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