Si chiude il semestre nero di Dow Jones. E il Nasdaq ha perso il 30%

L’andamento generale indica che gli investitori riducono i loro impegni, certi ormai di una prossima recessione. Down Jones, Nasdaq e S&P 500 in profonda crisi

Si chiude il semestre nero di Dow Jones. E il Nasdaq ha perso il 30%

Un semestre orribile come non se ne vedevano da anni. I numeri parlano chiaro: il Dow Jones ha aperto il 2022 a quota 36.585,06 e al 30 giugno era a quota 30.775,43 (il 15,88% in meno).

Il Nasdaq Composite, l’indice che racchiude tutto il mercato Nasdaq, ha aperto l’anno a 15.832,80 per assestarsi al 30 giugno a 11.028,74 (-30,34%).

Lo S&P 500, indice che contiene i titoli di altrettante società quotate a New York (quindi Nyse e Nasdaq) non poteva dare risultati migliori: era a 4.795,56 a gennaio e ha chiuso il semestre a 3.785,38 (-21,08%)

Si respira quindi un’aria isterica dovuta a timori diversi: tra gli investitori serpeggiano sia il timore dell’inflazione sia quello della recessione che, al di là dell’Oceano, attendono con paura già in questo ultimo semestre o al più tardi durante i primi sei mesi del 2023.

Il risultato è comunque lo stesso, gli investitori riducono la loro esposizione a prescindere dai titoli e dai mercati nei quali investono.

Il calo in ogni settore

Un esempio, una fotografia recente, lo dà il sito Borsa Italiana nel commentare una delle tante giornate tipiche di questi ultimi mesi che hanno generato un “bear market”, il mercato orso, ovvero il mercato segnato da un calo dei prezzi generale, soglia individuata con la perdita di valore pari almeno al 20% rispetto ai risultati migliori del periodo.

La fotografia più esplicativa risale al 13 giugno 2022, quando Boeing ha perso il 5,23%, Chevron (azienda petrolifera) ha perso il 3,34%. Nike ha segnato il -3,2%, Salesforce (Cloud computing) il 3,49%.

Lucid (auto elettriche) ha perso il 5,88% e Tesla il 7,1%.

L’incertezza aleggia sovrana in ogni comparto e ritorna in auge il vecchio adagio secondo il quale quando l’America ha il raffreddore, l’Europa può aspettarsi una febbre anche violenta.

Ftse, Cac e Stoxx e vie di fuga

Nei primi sei mesi del 2022 l’indice borsistico italiano, il Ftse, ha perso il 23%, la Borsa parigina Cac 40 ha ceduto il 17,93% e il Stoxx 600 che racchiude le aziende europee con i più importanti valori di capitalizzazione è lasciato sul terreno il 16,9%.

Anche in Europa le previsioni sono nefaste e ci si appresta a fare front alla crisi che si intravvede all’orizzonte. Hanno un peso, anche alle nostre latitudini, la questione energetica e alimentare in rapporto alla Russia e all’Ucraina, la crescita economica in frenata e i finanziamenti meno elastici spingono a temere che l’inflazione possa non stare al passo con i rendimenti economici. Questo, dati alla mano, vale tanto per il Vecchio Continente quanto per gli Usa.

Non c’è rifugio neppure tra le materie prime che preoccupano sia nella loro fase di estrazione, di lavorazione e logistica, anche in questo caso con un occhio aperto sul difficile scenario dei carburanti. Tra le criptovalute tira un’aria ancora peggiore, basta osservare il Bitcoin che tra repentini e illogici sali-scendi, durante il mese di giugno ha perso il 38% del proprio valore.

C’è un settore che non teme il peggio, quello delle Startup, nel quale si registrano finanziamenti in costante crescita.

Per citare un dato in Italia, terra di innovazione che in Europa è meno vispa di quella tedesca e britannica, ha visto salire la raccolta di fondi del 46% durante il primo semestre del 2022 in rapporto ai primi sei mesi del 2021, raggiungendo la cifra di 968 milioni di euro.

Il messaggio sembra essere chiaro: davanti all’incertezza dei mercati tradizionali e per differenziare, scegliere di investire in aziende ad alto rischio ammanta di brivido il desiderio di guadagno.

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