Economia

Il silenzio del governo sulle spiate di Equitalia

La società di riscossione potrà mettere le mani sui conti correnti degli italiani. Dall’esecutivo soltanto "no comment"

Il silenzio del governo sulle spiate di Equitalia

Silenzio, che in questo caso, con tutta probabilità, non significa assenso. Nessuna reazione nel governo alla richiesta dell’amministratore delegato di Equitalia Enrico Maria Ruffini di consentire alla società di riscossione l’accesso all’Anagrafe dei rapporti finanziari. Detto con parole sue, pronunciate in un’audizione parlamentare di qualche giorno fa, a Equitalia servirebbe ricevere «in forma massiva e a scadenze ravvicinate» le informazioni relative ai conti correnti dei suoi debitori, che sono già registrati dall’anagrafe. Creatura dell’amministrazione fiscale ai tempi di Attilio Befera, che serve a registrare i movimenti nei conti correnti e negli investimenti e a verificare se corrispondono alle dichiarazioni dei redditi. La società di riscossione vorrebbe utilizzarla anche per verificare la posizione dei debitori e, magari, a rendere più veloci i pignoramenti dei conti correnti.

Normale che Ruffini l’abbia chiesto. L’obiettivo di Equitalia è recuperare il più possibile. Su questa battaglia, seguendo uno schema ormai consolidato, Equitalia ha trovato subito l’appoggio del Pd. Più nel dettaglio, della sinistra dem, ala poco favorevole al premier Matteo Renzi. La questione è stata infatti sollevata dalla commissione Finanze del Senato, con un parere approvato nell’agosto scorso. Relatrice Lucrezia Ricchiuti, civatiana doc. Chiede «libero accesso a tutte le informazioni finanziarie che riguardano i contribuenti», compresi conti correnti italiani ed esteri, compravendite di beni mobili e immobili. Scopo dichiarato, alzare il livello della riscossione che è ancora basso. Quindi il governo ha già il via libera del Parlamento e potrebbe accontentare Equitalia. Ma sul fisco l’esecutivo Renzi preferisce la cautela e sono probabilmente da interpretare in questo senso i «no comment» di autorevoli esponenti dell’esecutivo raccolti ieri dal Giornale su questa vicenda. Il grande fratello fiscale, in generale, è un pallino di una sinistra che non è esattamente in linea con il premier Matteo Renzi. Ma questa volta l’esecutivo non ha nessun interesse a schierarsi conto il fisco. Renzi ha più volte detto di puntare sulle nuove tecnologie per battere l’evasione: «La strada è tracciata per sempre. La tempistica della fine dell’evasione non dipende da come si organizzano le burocrazie romane, ma da quanto saremo decisi e rapidi nel proseguire sulla strada dell’innovazione e della digitalizzazione», spiegò tempo fa. Che l’innovazione consista anche nella possibilità data alle agenzie di riscossione di controllare costantemente i conti correnti forse non lo aveva messo in conto. Ma di questi tempi, il governo non può permettersi di rinunciare a nessuna entrata. Nemmeno quelle ottenute con metodi che sembrano più in linea con la filosofia dell’ex ministro Vincenzo Visco che con quella di Renzi. Ma è anche vero che ci sono già precedenti renziani sull’utilizzo del grande fratello dei conti correnti e del fisco. Nel decreto giustizia del novembre 2014, si prevedeva che anche i creditori possano accedere, tramite ufficiale giudiziario, alle informazioni delle banche dati a disposizione del fisco.

Difficile, a questo punto, negare al Equitalia quello che è concesso agli altri creditori.

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