Dai consigli-salotto in cui si intrecciavano gli interessi di Fondazioni e grandi famiglie italiane a quelli poggiati sul denaro di emiri, oligarchi ed emissari del Celeste impero. Dopo aver cambiato il libro soci dei big di Piazza Affari, gli investitori stranieri arrivano nei luoghi del potere: una loro maggiore presenza nella gestione «sarà inevitabile», ha ammesso ieri l'ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che non a caso ha aperto un cantiere sulla governance. La storica presenza dei fondi del Golfo in Unicredit e il recente ingresso di Btg-Fintech nel board del Monte Paschi sono quindi soltanto l'aperitivo. «Malgrado il sistema-Italia sia ancora ad alto rischio a causa delle mancate riforme strutturali, ci sono pezzi industriali e bancari che risultano interessanti», sintetizza Donato Masciandaro, direttore del dipartimento di Economia politica alla Bocconi.
Professor Masciandaro, come cambierà la finanza italiana con l'ingresso degli stranieri nelle sue stanze dei bottoni?
«Spero favoriscano una migliore e più efficiente gestione».
Quindi basta accordi politici di compromesso, o di bottega, tra i soliti azionisti forti.
«Quanto più gli assetti saranno opachi e poco efficienti, tanto meno attireranno investitori. Mi aspetto, quindi, una forte competizione tra i maggiori gruppi».
Un fondo di un Paese semi-dittatoriale non offre però certo le medesime garanzie in termini di trasparenza di un investitore europeo o americano.
«Oggi non esiste un impianto che regoli questi aspetti. Sarebbe tuttavia opportuna una riflessione in sede comunitaria».
Come Stato sovrano e come cittadini dobbiamo temere l'arrivo in forze dei capitali esteri?
«Oggi c'è tantissima liquidità e, per la prima volta, gli investitori stanno guardando anche alla cosiddetta «Europa periferica». In ogni caso se un anemico ha bisogno di sangue deve accettare la trasfusione, poi sta all'ex malato capire quanto plasma prendere per evitare effetti indesiderati».
Esiste un rischio sistemico?
«Al momento no. Piuttosto un capitalismo chiuso e oligopolistico o vegeta o muore. Un Paese come il nostro che non cresce deve giocoforza considerare i capitali stranieri un'opportunità».
Gli Stati Uniti sembrano però lanciare segnali di impazienza
«Si dice che il dollaro sia un problema per gli altri; questa volta, invece, gli investimenti esteri sono un'opportunità per l'Europa e un problema per Washington. Se gli Usa sono tanto preoccupati, possono venire loro da noi. Credo, comunque, che l'attenzione sia concentrata sulla Russia, soprattutto considerando le braci nascoste sotto le ceneri delle sanzioni».
I cinesi hanno comperato anche il 2% di Mediobanca, lo snodo del capitalismo italiano
«Non siamo abituati a vedere una banca centrale, che stampa moneta, impegnarsi in investimenti diretti».
Come risolverebbe i connessi problemi di trasparenza?
«La Germania ha da tempo avviato canali privilegiati con i Paesi emergenti, ora occorre una posizione corale europea».
L'Italia può imporre regole a investitori così liquidi?
«L'Ue può essere un interlocutore con pari dignità».
Questo aumenta la difficoltà della Consob a vigilare sul rischio di abusi di mercato...
«Consob dovrà essere attore protagonista nella creazione di un unico mercato dei capitali. E il fatto che Piazza Affari sia nel perimetro della Borsa inglese potrebbe rivelarsi un vantaggio, perchè dialoghiamo con il più forte mercato finanziario del Continente».
Da dove inizia la rivoluzione?
«Dai gruppi dove gli esteri sono già presenti o vogliono entrare. Sia singoli gruppi sia comparti come le banche popolari stanno lavorando sulla loro governance».
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