Rodolfo Parietti
Se Alan Greenspan fosse ancora seduto sullo scranno da presidente della Fed, forse avrebbe parlato di «esuberanza irrazionale» di fronte all'esordio boom, ieri a Wall Street, di Snapchat. Fin dall'apertura, è scattata una corsa frenetica all'acquisto che in pochi minuti ha polverizzato i 17 dollari del prezzo di collocamento, fatto arrampicare i titoli fino a quota 25,70 (+51% alle 21 ora italiana) e portato la capitalizzazione a 30 miliardi, il triplo di Twitter. Un affare per chi ha partecipato alla festa. A cominciare dal fondatore, Evan Spiegel, che nel 2012 aveva rifiutato un assegno da tre miliardi per la sua creatura dal patron di Facebook, Mark Zuckerberg.
Dopo l'anno nero delle Ipo made in Usa (solo 111, per una raccolta di 24 miliardi), il successo di Snap può far da volano per il mercato delle quotazioni, che da gennaio ha visto 18 società sbarcare alla Borsa di New York per un controvalore pari a 9,2 miliardi. E magari convincere colossi come Uber e Airbnb a compiere il grande passo arricchendo un'offerta che al momento prevede la quotazioni di piccole aziende tecnologiche con un valore compreso tra 1 e 5 miliardi di dollari. Qualche nota di cautela è però d'obbligo. Pochi giorni fa Warren Buffett, uno che per gli affari ha un certo qual fiuto, aveva negato che i mercati fossero in bolla. La stessa Fed ha più volte ribadito di non vedere pericoli del genere. Ma casi come quello di Snapchat sono destinati a rafforzare i dubbi di quanti temono che Wall Street soffra di una pericolosa iper-valutazione, tale da provocare un crac se il combinato disposto di un eventuale fallimento delle politiche economiche di Donald Trump e di una politica monetaria restrittiva (a metà mese dovrebbe arrivare il primo dei tre rialzi dei tassi previsti quest'anno) presenterà il conto.
Di sicuro, alla luce del suo conto economico, Snapchat è una grande scommessa. È vero che ogni giorno, mediamente, 158 milioni di persone usano l'applicazione, famosa soprattutto tra gli adolescenti e le donne, che fa scomparire i messaggi inviati dopo pochi secondi. Ed è anche vero che i ricavi, dallo zero di tre anni fa, sono ora sopra i 400 milioni. Ma gli utili ancora non si vedono. Anzi, le perdite continuano ad accumularsi: 373 milioni nel 2015, 515 milioni nel 2016. E in più, l'azienda continua a bruciare cassa: 678 milioni lo scorso anno, una cifra superiore al giro d'affari.
Una situazione, secondo alcuni analisti, non facilmente sostenibile se il management non riuscirà a trasformare un'idea di successo in una compagnia di successo, lasciandosi schiacciare da una concorrenza - Facebook su tutti - particolarmente agguerrita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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