Che Carlo De Benedetti fosse abile negli affari lo si sapeva da un pezzo. Ieri è rimbalzata in Italia l'ultima delle conferme: Chanel, centenaria maison parigina del lusso, ha sborsato 140 milioni all'Ingegnere per acquistare i muri del suo negozio al numero 51 di Avenue Montaigne. A vendere è stata una società di diritto italiano controllata al 100% dall'Ingegnere. L'operazione, secondo i primi riscontri planetari, fa segnare il record assoluto per una transazione immobiliare: 233mila euro al metro quadro. Più che mai chapeau .
Il negozio, che già occupava il locale, continuerà a pagare un affitto annuo di due milioni di euro alla casa madre Chanel, che avrà così un ritorno finanziario molto basso, meno dell'1,5%. Per il gruppo francese, controllato dalla famiglia Wertheimer, è il primo investimento immobiliare diretto. Ma, secondo il quotidiano Le Figaro , che ha dato la notizia, insieme con rue du Faubourg Saint-Honoré e Place Vendôme, Avenue Montaigne è una delle tre migliori posizioni di Parigi per lo shopping di lusso. Gli affitti salgono e nessuno vende. Tranne l'Ingegnere.
Che così ha dato un'altra lezione di capitalismo. Rivisitato a modo suo. Non che un imprenditore e finanziere non sia libero di agire sul mercato come e quando crede. Inoltre, l'operazione parigina è stata effettuata direttamente dalla famiglia De Benedetti e non da società con azionisti terzi. Quindi, tutto super trasparente. Dopodiché non può non balzare all'occhio che la stessa famiglia ha appena rifilato alle banche la sua società più disastrata: Sorgenia, gruppo elettrico indebitato per quasi due miliardi, finito in profondo rosso, salvato dal crac solo grazie all'intervento degli istituti di credito che per non perdere tutto ci hanno messo, per ora, 400 dei loro milioni. Mentre i De Benedetti, tramite Cir che controlla Sorgenia al 53%, si sono ben guardati dal partecipare al salvataggio.
Sarebbe bastata proprio una cifra come quella del negozio di Chanel: le banche avevano chiesto un impegno di 150 milioni. Invece niente: Cir ha preferito lavarsene le mani e lasciare che la società fallisse; o che qualcun'altro agisse con un diverso senso di responsabilità. Poco importa se le banche, in questo modo, saranno costrette a tenere impegnati chissà fino a quando ingenti risorse altrimenti destinabili ad aziende piccole o medie che li meriterebbero. E che così continueranno a licenziare, chiudere o a rischiare di farlo.
Non ce ne voglia l'Ingegnere, al quale invidiamo, del tutto liberi da ideologie, il fiuto per affari come questi. Ma il tema del corto circuito banche-aziende-credito è così condivisibile, che viene denunciato dagli stessi editorialisti delle testate del suo gruppo editoriale, L'Espresso: «Le nostre maggiori banche continuano a finanziare chi ha ampiamente dimostrato di saper unicamente accumulare debiti su debiti non mettendoci nulla o quasi di tasca sua».
Come dare torto al bravo Tito Boeri, che così scriveva su Repubblica , due anni fa. O al vicedirettore Massimo Giannini, che si chiedeva «fino a quando il nostro capitalismo finanziario potrà far girare le risorse solo dove occorrono»? Siamo perfettamente d'accordo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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