La scelta di Bankitalia, Consob, Ivass e Covip di invitare banche, fondi e assicurazioni a «non affidarsi in modo esclusivo o meccanico ai giudizi emessi dalle agenzie di rating» potrebbe essere interpretata come stimolo verso il pianeta dell'imprenditoria privata per creare un'agenzia italiana di rating; visto che quella europea stenta a partire. Qualche idea sul tema è vicina a maturazione. E non potrebbe essere altrimenti, dopo la mossa delle Autorità di vigilanza e controllo. Nella sostanza, la scelta di lunedì scorso affida a «processi interni» delle società finanziarie la decisione e la valutazione del rischio, senza condizionamenti esterni; quali possono venire dalle varie Standard and Poor's, Moody's e Fitch. Non solo. Questi stessi «processi (decisionali) interni» saranno codificati dalle Autorità di controllo e vigilanza. Ne consegue che l'unico strumento che manca al disegno di affrancamento dei rating espressi dalle agenzie internazionali è - appunto - un'agenzia di rating nazionale. Finirebbe per rappresentare lo strumento di verifica e controllo sia del rispetto dei parametri indicati per i «processi interni», sia della valutazione fatta «a valle». In altre parole, i diversi rating indicati singolarmente dai vari «risk manager» delle società verrebbero così codificati a beneficio della comunità finanziaria in rating a tutti gli effetti. L'expertise tecnico non manca. L'Italia ha il secondo debito pubblico più alto d'Europa, il quarto - in termini assoluti - nel Mondo.
E la sua gestione, se si esclude il 1993, non ha mai toccato livelli critici. Né manca chi ci saprebbe fare: dopo la sua esperienza alla Banca centrale europea, formule di questo tipo potrebbero assai interessare un personaggio come Lorenzo Bini Smaghi.lo spillo 2 Quell'assist per un rating italiano E per Bini Smaghi
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