La Svizzera neutrale? Ora non più

Per mantenere fisso il corso del franco, la Banca nazionale compra titoli tedeschi e spinge al rialzo lo spread

La Svizzera neutrale? Ora non più

A scuola ci hanno insegnato che la Svizzera è un Paese neutrale. La neutralità di questo Paese finisce però quando si entra nel campo economico e ci si accorge che questo piccolo Stato è in realtà una vera potenza in grado di incidere sull'economia e sulla politica del mondo. Con un arsenale di armi macroeconomiche che non si limita alla forza del segreto bancario che, neutralizzando le politiche fiscali dei governi degli altri Stati, fornisce appoggio a coloro che non amano pagare il costo sempre più elevato delle imposte loro riservate. Nel recente passato, e anche oggi, la Svizzera ha contribuito a destabilizzare l'euro. La conferma è arrivata dall'agenzia di rating Standard and Poor's, peraltro duramente attaccata per i suoi rilievi sul tema da parte dello Stato elvetico. Pur non simpatizzando con le agenzie di rating che sono state, se non causa, almeno complici della crisi finanziaria mondiale, ritengo che questa volta abbiano colto nel segno.

Alla fine dello scorso anno la Swiss National Bank ha annunciato un «peg» (cambio fisso, ndr) euro/franco svizzero a 1,2 e ha così iniziato ad acquistare euro (per frenare la supervalutazione della propria valuta). Secondo i report di diverse banche d'affari questi euro sono stati per lo più investiti in bund tedeschi. E proprio a partire dal giorno dell' annuncio lo spread Btp-Bund a 10 anni ha raggiunto i livelli più alti: si è trattato quindi di un movimento del differenziale spiegabile da una riduzione del rendimento dei titoli tedeschi più che da un incremento su quelli italiani. Situazione che, inoltre, ha anche portato alle dimissioni del governo Berlusconi.

Credo che se fossero pubblicati i dati delle giacenze medie di titoli di Stato detenuti per ogni Paese dalla Banca Centrale elvetica negli ultimi 12 mesi, emergerebbe che la giacenza di titoli tedeschi e francesi ha raggiunto nel periodo un record storico; record che, guarda a caso, corrisponde al momento in cui l'Italia si è trovata quasi sull'orlo del default. Da dove nasce il sospetto che le Banche Centrali extra-euro abbiano contribuito alla destabilizzazione della nostra moneta?

Intanto possiamo osservare che, nonostante la particolare situazione di crisi dell'area euro degli ultimi 12 mesi, la moneta non si è particolarmente deprezzata. Questa stabilità del tasso di cambio, seppur positiva e che può anche avere origine da altri fattori macroeconomici, rappresenta comunque un'anomalia. Anomalia spiegabile in buona parte dall'attività delle Banche Centrali dei Paesi fuori dell'unione monetaria europea che, per garantire la stabilità dei tassi di cambio, hanno continuato ad acquistare euro investendoli in titoli di Stato liquidi con un rating massimo, ovvero in Bund tedeschi, facendone scendere il rendimento ben al di sotto dell'inflazione. Non è infatti altrimenti giustificabile un rendimento reale negativo di tali titoli in assenza di crescita anche in Germania. Se poi consideriamo le ingenti somme normalmente movimentate dalle Banche Centrali, l'effetto sull'allargamento degli spread è piuttosto evidente. Quando le stesse Banche Centrali svolgono un'attività simile di protezione del tasso di cambio con valute diverse dall'euro, come ad esempio il dollaro, acquistano il biglietto verde e lo investono in Treasuries senza creare alcun problema per i singoli stati Usa. In Europa però, in assenza di eurobond, i flussi di investimento non vengono ripartiti in modo omogeneo, creando un effetto che premia in modo ingiustificato la Germania.

Sarebbe quindi opportuno, e nell'interesse di tutti, intavolare delle discussioni con le Banche Centrali di alcuni grandi Stati extra europei per trovare soluzioni compatibili con l'euro-sistema suggerendo, per esempio, di concentrare i loro investimenti sui titoli emessi dall'EFSF (fondo di stabilità, ndr). Si manterrebbe così l'obiettivo della stabilità dei tassi di cambio evitando pericolosi divari di rendimento. Anche per la Germania sarebbe meglio rinunciare all'extra risparmio derivante dal fatto che i Bund - in termini reali - hanno rendimenti negativi, essendo ben al di sotto dell'inflazione, accettando di pagare tassi pari all'inflazione, piuttosto che contribuire al salvataggio dell'euro con costi nettamente superiori.

Se questa strada del dialogo è quindi auspicabile, non sono da escludere scelte anche più drastiche, come il divieto di detenzione di titoli di Stato di singoli Paesi dell'area euro da parte di Banche Centrali

extracomunitarie, lasciando loro solo la possibilità di investire in titoli emessi da altri soggetti, sia privati che pubblici (EFSF, KFW, EIB, CDP e via dicendo). La famosa neutralità svizzera, insomma, potrebbe non essere così innocua.

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