Se negli ultimi giorni si è molto parlato su giornali e televisioni della vendita de La7 non bisogna dimenticare che, in realtà, Telecom Italia ha ben altri problemi. L'alto debito ( 28,274 miliardi di euro) con il pagamento degli interessi che questo comporta, e il calo dei margini nelle attività domestiche non controbilanciate da un sostanziale aumento di quelle nei Paesi sudamericani hanno determinato un doveroso taglio ai dividendi che sono stati dimezzati rispetto a quelli distribuiti lo scorso anno. A farne le spese, oltre ai piccoli azionisti, c'è anche Telco, la holding partecipata da Telefónica, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Generali che controlla con una quota del 22,5% la società di tlc. Un pacchetto di azioni comperato da Pirelli a 2,82 euro per azione. Da allora le azioni in pancia a Telco sono state via via svalutate per adeguarle al prezzo delle azioni quotate in Borsa che valgono, ormai, poco più di 62 centesimi di euro. Così ieri il cda di Telco ha dovuto provvedere a un'altra svalutazione, dopo quelle effettuata lo scorso anno, portando il prezzo delle azioni in portafoglio da 1,5 a 1,2 euro ancora dunque ben lontano dall'effettivo valore. La mossa ha generato una perdita, nei sei mesi, di 818 milioni dopo la rettifica di valore della partecipazione pari a 920 milioni. La rettifica, ha spiegato Telco in un comunicato, riflette le considerazioni svolte dal cda sull'andamento e le prospettive della partecipata ed è coerente con una valutazione condotta da una banca di investimento internazionale, che ha rilasciato una fairness opinion sulla congruità del valore di carico che ora ammonta a 3,604 miliardi. Anche se il valore reale, rapportato alle quotazioni di Borsa, è della metà.
All'orizzonte per il gruppo telefonico c'è anche un altro problema. La società ha infatti avviato un impairment test che verrà esaminato dal cda in programma il 7 marzo prossimo. Telecom si troverà dunque ad aggiornare il goodwill (l'avviamento), che si è formato con le operazioni straordinarie dello scorso decennio che hanno valori elevati per i prezzi di Borsa di quegli anni.
Già nel 2011 il gruppo ha praticato una svalutazione dell'avviamento sulle attività domestiche per 7,3 miliardi. Ora la previsione è quella di una ulteriore svalutazione tra i due e i 4 miliardi di euro, cioè oltre l'utile netto atteso che è pari a 2 miliardi. Un'operazione che, in ogni caso, non avrebbe impatto sulla capacità di distribuire la cedola, che nel 2013 sarà di 450 milioni e non ha riflessi neppure sulle disponibilità della società perché in bilancio ci sono circa 6 miliardi di riserve distribuibili senza limiti. Secondo gli analisti non ci sarebbero conseguenze, perché si tratta di un'operazione contabile che non comporta esborsi di liquidità ed è già stata anticipata dall'andamento del titolo.
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