Economia

Il trading online può costare caro: cosa si rischia col Fisco

Gli investimenti effettuati su piattaforme digitali estere devono essere sempre comunicati al Fisco. Sanzioni pesanti per gli "sbadati"

Il trading online può costare caro: cosa si rischia col Fisco

Il trading online può costare molto caro agli utenti meno esperti. Basta infatti aprire una posizione su piattaforme digitali aventi base all’estero per finire nel mirino dell’Agenzia delle Entrate. Tanti contribuenti attivi sulle piazze finanziarie internazionali non sanno che il volume dei propri investimenti in titoli, criptovalute e prodotti finanziari della più varia natura deve essere dichiarato al Fisco ogni anno. Amministrazione tributaria particolarmente attenta al calcolo delle eventuali plusvalenze maturate nel corso degli anni. Guadagni da cui possono essere dedotte le eventuali minusvalenze con complicate modalità di calcolo ignote alla maggior parte degli italiani che impiegano propri euro anche attraverso applicazioni scaricate sullo smartphone.

Filippo Caruso, avvocato tributarista attivo a Milano, spiega a “IlGiornale.it”, che gli obblighi previsti dalla legge sono chiari: “Se l'accesso a queste piattaforme è molto semplice, lo stesso non si può dire del loro trattamento fiscale, soprattutto per chi non è avvezzo a nozioni legate alla tassazione dei proventi finanziari e del monitoraggio fiscale internazionale. Prima di tutto bisogna dire che, come spesso accade, il legislatore e la prassi dell'Amministrazione finanziaria sono in ritardo rispetto all'evoluzione degli eventi e questo fa sì che, ad oggi, la normativa di riferimento rimane quella dell'articolo 67 del Testo unico in materia di imposte sul reddito relativo al capital gain”. Orientamento che è stato confermato dall’Agenzia delle Entrate anche in una risoluzione adottata nel 2016. L’esperto in materia fiscale ricorda ai tanti utenti che approcciano al trading senza farsi assistere da un consulente che non è possibile sfuggire ai controlli del Fisco: “In linea generale si può affermare che chiunque investe fa trading online deve ricordarsi che ogni provento realizzato deve essere tassato e, se il denaro investito è trasferito all'estero, deve anche essere dichiarato nel quadro RW del Modello Redditi ai fini del monitoraggio fiscale”. Caruso ricorda il peso delle imposte sui guadagni maturati su piattaforme online: “Generalmente si applica la sostituiva del 26%, ma possono esserci casi in cui è prevista la tassazione marginale, ossia il guadagno si somma agli altri redditi prodotti nell'anno e sconta la relativa aliquota IRPEF”. L’avvocato evidenzia come alcuni contribuenti rischino di dover fronteggiare un procedimento penale: “Qualora l'investitore non dichiari le operazioni al Fisco, oltre a vedersi accertata l'imposta relativa alle plusvalenze realizzate, rischia di incorrere in sanzioni amministrative e, superato determinate soglie, anche penali. Infatti, sugli importi non dichiarati ai fini delle imposte, le sanzioni possono andare dal 90% al 180% dell'imposta evasa se il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi; diversamente, quindi con una dichiarazione non presentata, le sanzioni salgono dal 120% al 240%, salvo ovviamente l'applicazione di maggiorazioni che possono essere discrezionalmente irrogate dall'Agenzia delle Entrate in base al comportamento effettivamente tenuto dal contribuente”.

Il Fisco ha tempi lunghi per effettuare gli accertamenti. I termini sono di sette anni per gli investimenti effettuati genericamente su piattaforme estere: calcolo che sale a quattordici per eventuali operazione fatte in Paesi considerati “canaglia” dal Fisco italiano. L’avvocato Caruso spiega che si può agire prima di ricevere avvisi di pagamento e cartelle esattoriali: “Ogni contribuente può correre ai ripari usufruendo del cosiddetto ravvedimento operoso. È possibile mitigare gli effetti sanzionatori anche dopo l’accertamento.

Meglio però giocare di anticipo per evitare gravi ripercussioni”.

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