Trevi rischia di finire sul binario morto: il titolo crolla del 17%

Sofia Fraschini

Conti in rosso, commesse al palo, debiti in aumento. Ma soprattutto il rischio di non poter garantire la «continuità aziendale». Trevi Finanziaria industriale è andata in tilt ieri a Piazza Affari lasciando sul terreno il 17,4% a 0,63 euro. Il gruppo di ingegneria del sottosuolo e macchine per le perforazioni - partecipato dalla Cassa depositi e prestiti (16,8%), e in mano alla famiglia Trevisan con il 39% - è l'ennesima vittima del settore oil&gas e della crisi che, da un paio di anni, ha reso difficile fare business nel settore. Il campanello d'allarme, non il primo, è suonato con la pubblicazione di una semestrale in profondo rosso (-118 milioni il risultato netto con ricavi in calo dell'11% a 519 milioni), nonché per le incertezze del cda sul piano industriale.

A poco, a Piazza Affari, sono servite le rassicurazioni espresse ieri dal cda sull'imminente firma di un accordo con le banche per la ristrutturazione del debito (565,9 milioni, in crescita dai 543,6 milioni della fine del primo trimestre). Nel bilancio di metà anno, infatti, Trevi ha messo nero su bianco che non è certa di poter «continuare a operare sulla base del presupposto della continuità aziendale». Una doccia fredda per gli investitori, grandi e piccoli, che negli ultimi 12 mesi hanno visto dimezzato il valore del proprio investimento. «La redditività ha subìto sia le perdite del settore oil&gas, sia la minore redditività dell'attività legata alle costruzioni. Inoltre, il gruppo ha effettuato svalutazioni per 40,7 milioni, al di sopra del livello dell'ebit», spiegano gli analisti di Banca Imi.

Come se non bastasse, le prospettive sono

tutt'altro che rosee, e qualche analista ieri ha paventato un nuovo profit warning all'orizzonte o la necessità di «un aumento di capitale fortemente diluitivo». Insomma, sembra ripetersi il copione visto in casa Saipem.

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