Donald Trump assomiglia sempre più all'uomo gaberiano, «quello che perde i pezzi». Con la sola differenza che le conseguenze non sono esilaranti. Nessuno, infatti, sembra disposto a ridere sull'intenzione del tycoon di introdurre dazi sull'import di acciaio e alluminio, la più arcaica delle misure protezionistiche che ha convinto il consigliere economico della Casa Bianca Gary Cohn a farsi da parte. Un altro pezzo, appunto, perso lungo la strada da The Donald dopo che a gettare la spugna erano stati, nei mesi scorsi, Hope Hicks e Josh Raffel, numero 1 e numero 2 della comunicazione, Rob Porter, segretario dello staff, Dina Powell, viceconsigliere alla sicurezza nazionale, e Jeremy Katz, vice di Cohn al National Economic Council.
Con un'amministrazione che va ormai sbilanciandosi pericolosamente sul versante no-global e populista, nessuno sembra più in grado di tirare per la giacchetta il presidente Usa per ricordargli - come sembra abbiano fatto inutilmente il ministro alla Difesa, James Mattis, e il segretario di Stato, Rex Tillerson - che scatenare una guerra commerciale può danneggiare le reazioni coi Paesi alleati. Nonostante il ministro dell'Energia, Rick Perry, abbia spiegato ieri che non è stata ancora presa nessuna decisione se applicare tariffe del 25% per l'acciaio importato e del 10% per l'alluminio, la portavoce della Casa Bianca ha dichiarato ieri che entro «la fine di questa settimana» arriverà l'annuncio sui dazi. I tempi, però, potrebbero essere molto più stretti: il sito Axios, in genere ben informato su tutto ciò che gravita attorno ai palazzi del potere nella capitale, rivela che Trump romperà gli indugi già oggi perchè è «impaziente e vuole agire». Per convincerlo a desistere non bastano nè gli scricchiolii che arrivano da Wall Street (-0,8% a un'ora dalla chiusura), dove la dipartita di Cohn significa aver perso l'architetto della riforma fiscale e l'uomo dell'agenda pro business, nè l'intenzione dell'Europa di rispondere per le rime se gli Usa non decideranno di esentare dalla stretta il «made in Ue». «Le guerre commerciali fanno male e sono facili da perdere», ha detto il presidente Consiglio europeo, Donald Tusk, parafrasando le parole di Trump. «Non possiamo rimanere con le mani in mano», ha sintetizzato in conferenza stampa la commissaria per il Commercio, Cecilia Malmstroem. Non potrebbe essere altrimenti: ogni anno viene esportato negli Stati Uniti acciaio per circa 5 miliardi di euro e alluminio per circa 1 miliardo. Dai calcoli della Commissione l'impatto finanziario dei dazi potrebbe essere di circa 2,8 miliardi. Una cifra troppo alta per poter far finta di niente.
Già circola infatti una lista nera dei prodotti a stelle e strisce che potrebbero finire nella tagliola delle ritorsioni: oltre a bourbon, moto Harley-Davidson e jeans Levi's, come anticipato nei giorni scorsi da Jean-Claude Juncker, l'elenco comprenderebbe anche decine di prodotti siderurgici, industriali e agricoli tra cui tabacco, burro di arachidi e succo di arancia; e poi prodotti tessili come T-shirt, pantaloni, abbigliamento intimo di cotone, scarpe di cuoio, oltre a rossetti, lacca e prodotti per la pelle, automobili, moto, veicoli per trasporto, barche a motore (yacht compresi) e canoe; infine, oli essenziali, pile, batterie, carte da gioco. La Coldiretti ha stimato che nel solo settore agroalimentare la vendetta di Bruxelles potrebbe costare all'America 950 milioni di euro a causa dell'introduzione di dazi.
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