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"Tutte balle che il nuovo Tuf sia a favore dei soliti noti"

Il capogruppo della Lega in Commissione Finanze Giulio Centemero: "La riforma è frutto del lavoro di tutte le componenti"

"Tutte balle che il nuovo Tuf sia a favore dei soliti noti"
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Giulio Centemero, capogruppo della Lega alla Commissione Finanze della Camera, la riforma del Testo unico della finanza prende forma e potrebbe essere legge entro la prossima primavera. Funzionerà?

"Al Tuf hanno lavorato alla riforma accademici di diritto ed economia, professionisti dei mercati, esponenti delle autorità e operatori con esperienza diretta. È stato un processo ampio, trasparente, con un livello di confronto tecnico mai visto. Funzionerà perché risolve problemi concreti. Semplifica procedure inutilmente complicate, aggiorna strumenti giuridici rimasti indietro di dieci o vent'anni rispetto agli standard europei. L'obiettivo non era ritoccare qualche norma, ma rendere competitivo il nostro mercato dei capitali".

Alcuni sostengono che il nuovo Tuf favorisce gli scalatori. Si parla dell'articolo 106 come legge ad personam per Caltagirone, Delfin o Mediobanca su Generali. Cosa rispondete?

"La riforma non modifica la disciplina dell'Opa obbligatoria in senso favorevole agli scalatori. Le soglie cruciali restano identiche, semplicemente si allinea la legge a quanto prevede la disciplina Ue. Resta in particolare fermo che chi acquista il controllo, presunto al 30%, deve fare un'Opa. Va anche ricordato che l'Opa è sì una tutela, ma anche uno strumento di difesa rendendo le operazioni più costose, e in alcuni casi scoraggia modifiche degli assetti proprietari. Questa narrazione di presunti favori personali è infondata e, mi permetta, anche fuorviante".

La Borsa italiana vede meno quotate e molti delisting. Il nuovo Tuf agevola chi vuole quotarsi?

"Sì, perché riduce costi, tempi e rigidità che in Italia non hanno equivalenti in Europa. Chi vuole quotarsi si confronta con meno oneri documentali duplicati, procedure più semplici e tempi più certi, una disciplina più proporzionata alla dimensione dell'emittente. Le Pmi e le società in fase di Ipo avranno regole coerenti con quelle dei principali Paesi europei, senza quell'eccesso di formalismo che da noi ha generato solo costi aggiuntivi".

Una delle innovazioni più interessanti sono le società di partenariato. Cosa significa?

"Significa colmare un ritardo storico. Tutti i grandi ecosistemi finanziari dagli Stati Uniti al Regno Unito, passando per Francia, Germania e Olanda hanno veicoli societari flessibili, pensati specificamente per private equity, venture capital, infrastrutture e investimenti professionali. L'Italia non li aveva. Con le società di partenariato li introduciamo nel nostro ordinamento. Questo attirerà capitali esteri e renderà più competitivo il private capital italiano".

La nuova regolamentazione per la lista del cda ha fatto discutere. Darà troppo peso alle minoranze?

"No, perché le nuove opzioni non eliminano il sistema attuale: lo affiancano. Le società potranno scegliere, con votazione assembleare, se utilizzare un modello più aperto o continuare con quello tradizionale. La possibilità per le minoranze di presentare candidati non significa che automaticamente controllino il board. La maggioranza continua a determinare la governance, ma in un contesto più competitivo e trasparente. Poi mi faccia aggiungere una cosa".

Dica.

"Fu lo stesso Luciano D'Alfonso del Pd a proporre per primo nel dibattito parlamentare un ddl per rivedere le regole di presentazione per le liste del cda a tutela delle minoranze".

Mi cita tre cose che semplificheranno la vita a chi si vuole quotare o a chi vuole investire?

"Riduzione degli oneri documentali non richiesti dall'Europa, che oggi pesano soprattutto sulle Pmi e sugli emittenti più piccoli; maggiore coordinamento tra autorità, che significa meno passaggi ripetitivi e più certezza dei tempi. Infine, procedure più snelle per alcune operazioni societarie, come operazioni con parti correlate di importo modesto o modifiche statutarie non rilevanti. Sono semplificazioni vere e non toccano le protezioni essenziali degli investitori".

Che dire degli opt-out, la possibilità di derogare alle normative negli statuti? Si tradurranno in meno tutele per i soci?

"Non credo.

Gli opt-out non sono deroghe automatiche: sono scelte statutarie deliberate dagli azionisti e peraltro, mi consenta di ripetere, i nuovi margini di flessibilità in gran parte allineano agli altri sistemi e non sono certo estremi. Inoltre, nessuna società può imporle dall'alto. In generale devono essere approvate con maggioranze qualificate o nelle Pmi con il voto favorevole della maggioranza degli azionisti diversi dal controllante".

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