Tutte le "spine" di Telecom: Dalla rete alla governance

Citi consiglia di vendere: «I conti sono ancora deboli» E il titolo perde il 2,7% in Borsa. Il pressing politico

Tutte le "spine" di Telecom: Dalla rete alla governance

L'incertezza sollevata della guerra in corso tra Elliott e Vivendi pesa su Telecom che ieri ha ceduto il 2,7% in Borsa in una giornata dai volumi ridotti per la festività del 25 aprile. Complice un report di Citi, che consiglia di vendere i titoli della società telefonica, nella convinzione che chiunque vinca, tra il fondo attivista Usa e il gruppo francese (che controllata il 23,9% di Tim), nell'assemblea del 4 maggio, si troverà di fronte una situazione difficile anche per l'ingresso, previsto per l'estate, di Iliad nel mercato della telefonia mobile.

Altro ostacolo «industriale» è poi l'asta delle frequenze per il 5G a cui Telecom è obbligata a partecipare. Ma a preoccupare il mercato è anche il clima di incertezza sia nella governance del gruppo sia nei palazzi della politica. Malgrado siano passati più di 50 giorni dalle elezioni, in Italia ancora non c'è infatti un governo stabile. E questo impatta sulla rapidità del lavoro delle Authority: dall'Agcom dipendono, per esempio, le tariffe regolamentate. Secondo Citi, inoltre, se il fondo di Paul Singer conquisterà la maggioranza del cda di Tim, l'ad Amos Genish, molto legato a Vivendi, potrebbe lasciare. E la stessa prospettiva di un cda litigioso non aiuta. Nelle ultime tre sedute Telecom ha così perso oltre il 5% in Piazza Affari, anche se, grazie all'ingresso di Elliott (che ora ha l'8,8%) e di Cdp (4,8%) il progresso da inizio anno resta del 30%.

Certo sotto la regia di Elliott, Telecom potrebbe fare cassa ed estrarre valore per i soci con la vendita - già prevista nei piani del fondo - di alcuni asset, per esempio alleggerendo la presa sulla società delle torri, Inwit, e su di quella dei cavi, Sparkle. Cui si aggiunge - ed è un altro punto che divide i due avversari - il destino ultimo della rete. Perché sebbene entrambi condividono l'idea della separazione, il programma targato Vivendi prevede di mantenerne il controllo al 100%, mentre il fondo Usa vorrebbe quotarla in Borsa. «Per estrarre valore - ha spiegato Elliott- come Fca ha fatto con la Ferrari». Con una differenza importante però. Perchè la rete è l'assett che serve a Telecom per garantire il pesante debito, 26 miliardi, presso gli investitori istituzionali che comprano le emissioni dei suoi bond.

Proprio nel momento di massima debolezza per il suo patron Vincent Bolloré, nel mirino della giustizia francese, Vivendi oltretutto è sempre più alle corde anche in Italia. Sia per la maxi-causa intentata da Fininvest-Mediaset per la vicenda Premium sia per la linea tenuta del governo uscente con il golden power. Tanto che anche Cassa Depositi e Prestiti si è schierata dalla parte di Elliott, evidentemente considerato un interlocutore più affidabile dei francesi per portare a termine la fusione tra Open Fiber (controllata da Enel e dalla stessa Cdp) e la rete di Telecom Italia. Quest'ultimo progetto ha raccolto ampi consensi sopratutto del Movimento 5 Stelle e del Pd che vedono di buon occhio il ritorno di un assett strategico come la rete di tlc in mano pubblica. Per metterla al riparo di nuovi raid nell'azionariato dopo tutti quelli che si sono avvicendati a partire dall'infelice privatizzazione fatta sotto l'egida del governo D'Alema.

Ora gli occhi sono puntati su Genish che,

sia per Vivendi sia per Elliott, è l'uomo ideale per realizzare la convergenza operativa tra rete, dati e contenuti. Anche se manager (italiani) capaci in giro per l'Europa non mancano. Come Vittorio Colao, ad di Vodafone.

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