Economia

Ultimatum Fiat, Mirafiori trema

Marchionne torna a minacciare lo stop agli investimenti in Italia senza una legge sulla rappresentanza sindacale

L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne
L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne

Ultima chiamata di Sergio Marchionne alle istituzioni: Mirafiori (solo 11mila veicoli prodotti tra gennaio e giugno a fronte di una capacità pari a 300mila unità l'anno) e Cassino, questa volta, tremano per davvero. L'ad di Fiat, in una nota, fa sapere a Fiom Cgil di accettare la nomina dei delegati di questo sindacato nelle rappresentanze aziendali, osservando in questo modo la sentenza della Consulta del 23 luglio. E dopo aver sottolineato di voler così «rispondere in maniera definitiva a ogni ulteriore strumentale polemica in relazione all'applicazione della decisione della Suprema Corte», ecco l'affondo: «In ogni caso - scrive Marchionne - come peraltro suggerito anche dalla Corte costituzionale, un intervento legislativo è ineludibile: la certezza del diritto in una materia così delicata, come quella della rappresentanza sindacale e dell'esigibilità dei contratti, è una condicio sine qua non per la continuità stessa dell'impegno industriale di Fiat in Italia». Sono trascorsi quasi due mesi da quando, alla presentazione del piano di investimenti (700 milioni) per Atessa, Marchionne aveva chiesto al governo regole certe a proposito dell'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, in caso contrario ci sarebbe stato lo stop ai progetti di rilancio per Mirafiori e Cassino, gli unici due impianti che ancora attendono di conoscere il proprio destino. «Di soli diritti si può morire», il monito del top manager. Da allora nulla si è mosso nelle stanze dei bottoni. E così Marchionne, nel riaprire i cancelli delle fabbriche alla Fiom, ha deciso di lanciare un vero ultimatum. I nomi di Mirafiori e Cassino (circa 9.500 le persone occupate) non vengono fatti, ma è chiaro che i due stabilimenti sono i soggetti della nota.
Pietro Ichino (Scelta civica), giuslavorista e membro della commissione Lavoro del Senato, ha presentato il 31 luglio a Palazzo Madama un disegno di legge «leggero» (con il n. 993, è composto da soli tre articoli e vuole mettere ordine sui rapporti tra impresa e rappresentanza dei lavoratori, in particolare tra chi ha siglato accordi aziendali e chi invece no) che potrebbe rappresentare una soluzione al problema. «Bisogna vedere - osserva il giuslavorista - se da Pdl e Pd c'è la volontà di far maturare una soluzione ragionevole a questa questione». «I rapporti sindacali - replica Maurizio Sacconi, presidente della stessa commissione - devono rimanere invece liberi e responsabili. Il che significa che sono sufficienti le intese tra le parti anche sulla rappresentatività».
Gongola il leader della Fiom, Maurizio Landini: «Rientriamo in fabbrica dalla porta principale, Fiat ora rimuova tutte le discriminazioni e si affronti il vero nodo: il futuro produttivo e occupazionale del gruppo in Italia». «Le uniche garanzie - risponde Luigi Angeletti (Uil) a Marchionne - le possono dare quei sindacati che gli accordi li hanno firmati, e questo basta e avanza.

In Italia fare affidamento su una legge è una chimera».

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