Saldato il conto con gli esami patrimoniali della Bce, per le banche italiane è tempo di riordinare le stanze dei bottoni sulla scia di quanto accaduto in Mediobanca lo scorso ottobre intorno all'ad Alberto Nagel.
A partire da Unicredit che ha avviato il cantiere della governance in vista del 13 maggio, quando l'assemblea dei soci sarà chiamata a rinnovare l'intero cda, tenendo come perno il capo azienda Federico Ghizzoni. Il presidente Giuseppe Vita (79 anni) , è candidato a un secondo mandato, ma il board dimagrirà ancora replicando la dieta del 2012: con ogni probabilità dai 19 posti attuali a 17. In sostanza il fronte storico delle fondazione azioniste sarà ridimensionato, di riflesso al suo minore impegno nel capitale. In particolare sia la Crt di Fabrizio Palenzona sia Bologna potrebbero essere dimezzate a un unico consigliere a testa, e uno scranno potrebbe essere «restituito» dagli enti minori. Di certo manterrà invece le posizioni il fondo arabo Aabar, primo socio con il 6,5% e vicino a Luca di Montezemolo. Potrebbe poi essere necessario fare posto ad altri soci internazionali, come il colosso americano Black Rock (4,6%) che non avrebbe però finora chiesto alcunchè. Analizzate alcune modifiche allo statuto per i consiglieri indipendenti, il cda ha affidato allo stesso Vita e al vicepresidente Vincenzo Calandra Buonaura di prendere contatto con i soci in vista della stesura delle liste entro metà aprile. Sono inoltre destinate a salire a un terzo del totale le donne: dalle attuali quattro a sei. Altra varabile sul tavolo è quella del voto doppio, da poco introdotto dalla Consob per «premiare» i soci storici.
In casa Intesa Sanpaolo l'orizzonte è invece spostato al 2016 quando, con il rinnovo dei consigli, potrebbe essere «rottamato l'assetto duale e la moltiplicazione delle poltrone tra Cdg e Cds che nel 2007 ha facilitato la nascita della superbanca sull'asse Milano-Torino: è stato creato un comitato ad hoc guidato dal presidente Giovanni Bazoli. Lo stesso banchiere, classe 1932, potrebbe fare un passo indietro con il rinnovo. Compagnia di Sanpaolo, primo socio con il 9%, fa capire da tempo che gradirebbe un unico cda ma, visti i limiti numerici fissati da Bankitalia,questo significa togliere voce a qualche socio minore. Un'alternativa appare correggere il duale, snellendo la sorveglianza e aumentando i manager nella gestione.
Malgrado la sberla ricevuta in assemblea lo scorso anno, anche il presidente della Popolare di Milano Piero Giarda ritenta la riforma della governance. La formula resta quella di ridurre i posti in Cds («appalto» dei dipendenti-soci) e allargare il Cdg, dando spazio ai fondi (Athena Capital di Raffaele Mincione ha il 5%). Nel «parlamento» di Piazza Meda però, quasi nulla è lineare. Così dopo la costituizione di un'associazione pro-Giarda, ne è spuntata una per opera della vecchia guardia. E i sindacati, tra cui si respira una certa freddezza verso l'ex ministro, vorrebbero creare una fondazione con il compito di raccordare la base e garantire la stabilità.
La partita Bpm si inserisce nella più ampia ipotesi di auto-riforma delle cooperative per opera di Assopopolari, per sventare l'intervento della Vigilanza.
L'ipotesi sarebbe quella di creare un modello ibrido che, pur lasciando intatto voto capitario e forma coop per i piccoli soci, conceda agli istituti un numero di consiglieri proporzionale al proprio pacchetto azionario. La commissione dovrebbe licenziare entro marzo un testo da codividere con Bankitalia e Bce.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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