Giampiero Pesenti ha lasciato, dopo nove anni, la presidenza del patto di sindacato di Rcs, ma rimarrà nel direttivo dell'accordo parasociale. La motivazione ufficiale è la necessità di accompagnare al meglio Italmobiliare in una fase difficile che rende più complicato proseguire la ricerca di una «sintesi fra le varie componenti azionarie». I Pesenti comunque continueranno a fornire un «contributo» anche perché il figlio Carlo resterà in cda.
Il passo indietro, tuttavia, provocherà ricadute. In primo luogo, nel patto. Un suo eventuale scioglimento anticipato dopo la ricapitalizzazione potrebbe bypassare il problema della successione. Inoltre, anche se indicato da alcuni rumor, difficilmente il presidente del cds di Intesa (in quota Mittel), Giovanni Bazoli, accetterebbe.
In secondo luogo, anche se Italmobiliare con il suo 7,4% non ha preso una decisione sull'aumento da 400 milioni, oggetto dell'assemblea del 30 maggio, è chiaro che le dimissioni aumentano la turbolenza generata dall'opposizione di Della Valle -Benetton e del pattista Merloni.
Ecco perché gli incontri avviati dall'ad Pietro Scott Jovane e dal cfo Riccardo Taranto con le banche saranno fondamentali. Uno «sconto» sul tasso applicato alla nuova finanza da 575 milioni (attualmente è il 6,3%) e una dilazione sul rimborso di 200 milioni alle banche potrebbe significare un aumento meno diluitivo che potrebbe «invogliare» i riluttanti.
È proprio su questo terreno che si gioca la partita della vita per Rcs. Un confronto che alcuni, compresi i giornalisti dei Periodici, vorrebbero si giocasse con il concordato preventivo in bonis o della legge Marzano. Diego Della Valle (8,8%) nelle sue epistole al cda aveva paventato l'azione di responsabilità, mentre i redattori hanno valutato l'esposto alla magistratura per verificare la solvibilità dell'azienda ed eventuali conflitti di interessi degli azionisti creditori (cioè Intesa, esposta per 300 milioni).
Autorevoli fonti legali interpellate dal Giornale hanno tuttavia sottolineato che i presupposti per un'azione di responsabilità non paiono avere molto fondamento giacché è compito precipuo di un amministratore (Scott Jovane in primis) non portare i libri in tribunale e a questo sono rivolti sia il rifinanziamento del debito che l'aumento. Le minoranze sono tutelate dalla possibilità di non aderire e recuperare parte dell'investimento con la vendita dei diritti. Analogamente poco fondati sono i presupposti per denunciare eventuali conflitti di interessi anche in relazione all'ipotesi che un «pattista» voti sì all'aumento e poi non lo segua.
Il voto favorevole è condizione necessaria per conservare in bonis la società e il socio è finalizzato al perseguimento del bene del complesso aziendale. Senza che questo crei, però, un «obbligo» di sottoscrizione. Quindi il socio Intesa vota per il bene di Rcs indipendentemente dall'esser creditrice. Idem Generali il cui «sì» sarebbe slegato dalla non adesione.
Allo stesso modo, le fonti legali ricordano che una procedura concorsuale non è un processo facile. Il concordato preventivo in bonis prevede la classificazione dei creditori con le banche poste in retrovia dopo fornitori e dipendenti. E chiamate a votare a maggioranza un sicuro write-off fino al 70 per cento.
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