Unicredit, testa a testa Tantazzi-Gros Pietro

Unicredit, testa a testa Tantazzi-Gros Pietro

La procedura di designazione del nuovo presidente di Unicredit si avvia verso la naturale conclusione. Lunedì 16 aprile è il termine ultimo per la presentazione delle liste ed entro due settimane le Fondazioni azioniste e i soci privati dovranno raggiungere un’intesa sul successore di Dieter Rampl e sui 19 componenti del board.
Oggi a Milano è in programma un nuovo incontro tra gli enti di origine bancaria per verificare il gradimento sui candidati presentati dalla società Egon Zehnder che sta effettuando la procedura di head hunting. Al momento, i nominativi più accreditati sono quelli dell’ex presidente di Eni e Atlantia, Gian Maria Gros-Pietro, dell’ex numero uno di Borsa Italiana, Angelo Tantazzi, del presidente di Allianz Italia Giuseppe Vita e dell’ex ministro dell’Economia nonché manager per l’Italia di Morgan Stanley Domenico Siniscalco. La presidentessa uscente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sì è chiamata fuori asserendo che la sua candidatura non è «un’ipotesi sul tavolo». In realtà, Marcegaglia dovrebbe entrare a far parte del nuovo board come «quota rosa» assieme alla riconfermata Lucrezia Reichlin. Vincenzo Calandra Buonaura, designato dal comitato governance al vaglio dei profili, ha iniziato già gli incontri con i «papabili» allo scranno più alto di Piazza Cordusio.
Leggermente più complicata la partita delle vicepresidenze che dovrebbero scendere da quattro a due (salvo incremento a tre nella fase finale delle consultazioni). Confermatissimo Fabrizio Palenzona (in quota Fondazione Crt che ora è il primo ente azionista con il 3,85%), che sta coordinando sapientemente il dopo-Rampl, resta da definire il ruolo del Fondo Aabar di Abu Dhabi (primo socio con il 6,5% destinato a scendere al 4,9) che potrebbe subentrare in qualche modo alla Libia. Difficile infatti che Farhat Omar Bengdara mantenga il ruolo di vicepresidente con l’1,2% di Lia posto sotto sequestro dalla Finanza per il risarcimento delle vittime del regime di Gheddafi (solo il 2,8% della Banca centrale di Tipoli è «libero). Anche fondi internazionali come BlackRock (3,1%) e Capital Research (2,7%) vorranno avere voce in capitolo.
La formalizzazione completa delle candidature dovrebbe vedere la luce la prossima settimana. A quello odierno seguirà un altro vertice tra l’ad Federico Ghizzoni, le Fondazioni e i soci stabili tra i quali anche i nuovi entrati Della Valle e Caltagirone. Occorre sottolineare, tuttavia, che l’iter avrebbe potuto essere un po’ più rapido. Ma il mutato scenario ha posto due problemi: uno di natura tecnica e l’altro politico. La difficoltà tecnica è legata alla riduzione dei numero dei consiglieri che costringerà qualche Fondazione minore (Manodori, Banco di Sicilia, CrTrieste, Cassamarca) a rinunciare alla rappresentanza o comunque a stringere un accordo con altre. Niente di grave, ma comunque il raggiungimento dell’intesa richiede il suo tempo.
La difficoltà politica, invece, nasce dal mutato contesto della finanza italiana. La crisi finanziaria del gruppo Ligresti, che ha coinvolto Premafin e Fonsai, non solo ha depotenziato un interlocutore storico per gli equilibri finanziari del centrodestra. Ma ha anche assorbito in un cammino irto di ostacoli Alberto Nagel, ad di Mediobanca, camera di compensazione del capitalismo italiano.

Il governo tecnico, infine, ha privato la finanza di riferimenti precisi. Unicredit, comunque, ha già voltato pagina e l’ad Federico Ghizzoni, dopo un anno e mezzo di lavoro e super-svalutazioni, ha già rimesso in carreggiata la banca riportando in utile il business italiano.

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