Con un'operazione da nove miliardi Eni divorzia da Saipem

Il Fondo della Cdp rileva il 12,5% del capitale. Poi arriverà l'aumento da 3,5 miliardi e un impegno bancario da 4,7

Saipem volta pagina. Ma per farla ripartire, il sistema Paese (dalle banche, alla Cassa depositi e prestiti, passando per lo storico azionista Eni) mette in campo un tesoretto che sfiora i 9 miliardi. Un'operazione, che prevede la ristrutturazione finanziaria e l'avvio di una crescente indipendenza dal Cane a sei zampe, proposta in gergo come «win-win», ma che costerà cara: 3,5 miliardi di aumento di capitale; 4,7 miliardi di rifinanziamenti bancari e una cessione (il 12,5% passerà da Eni - che ha il 42% - a Cdp) per circa 400 milioni. E il paradosso sta proprio nel fatto che la vendita di un pacchetto della società sarà, alla fine, l'impegno finanziario minore.

D'altra parte, ricordano gli analisti e la letteratura finanziaria (tra cui le numerose lettere dell'ex azionista di Eni, il fondo Knight Vinke), «sono almeno tre anni che si auspicava la separazione». Peccato che allora Saipem viaggiasse sopra i 30 euro (dagli 8 attuali).

Qualcosa in questi anni non è andato proprio nel verso giusto tra i profit warning e gli scandali giudiziari. Ad accerchiare il titolo ci ha pensato poi il brusco calo del petrolio che ha ridotto al lumicino gli investimenti di settore, e quindi il business di Saipem. Ecco perché il rilancio è stato accolto con grande favore dal mercato: Saipem +10,9% a 8,86 euro ed Eni +2,15% a 15,21 euro.

Partendo da Eni, per permetterle di deconsolidare il maxi debito che pesava sui propri conti (per quasi 6 miliardi), il Cane a sei zampe cederà il 12,5% all'Fsi (il fondo strategico italiano). Secondo i patti, il prezzo delle azioni non potrà essere inferiore a 7,4 euro né superiore a 8,83 euro. E quindi, in soldoni, l'Eni incasserà tra 408 e 487 milioni. Ma non solo. La major beneficerà del rimborso dei crediti vantati verso Saipem (6,1 miliardi). Al netto dell'impegno per l'aumento di capitale l'assegno per Eni sarà quindi di 5,4 miliardi. A conti fatti: nuova liquidità da investire e maggiore flessibilità finanziaria.

Quanto a Saipem, la parte del leone riguarda la ristrutturazione che passa dall'aumento e dal riassetto del proprio debito. San Donato attingerà dal sistema bancario 4,7 miliardi: 3,2 miliardi per il rimborso dei crediti Eni e 1,5 miliardi per le proprie esigenze finanziarie. Riordinata la situazione finanziaria, per Saipem la sfida non è comunque finita. I conti dei primi nove mesi mostrano il forte impatto delle svalutazioni annunciate con la semestrale, con una perdita netta di 866 milioni.

Nel trimestre il risultato netto è invece a 54 milioni, i ricavi sono calati del 12,5% a 3,072 miliardi mentre il risultato operativo è stabile a 150 milioni: numeri "incoraggianti" per l'ad Stefano Cao che, secondo il piano presentato ieri a Londra, prevede di realizzare un ebit superiore ai 600 milioni nel 2016, pari a 700 milioni nel 2017 e superiore ai 900 milioni entro il 2019. Nel 2016 e 2017 i ricavi saranno superiori a 11 miliardi. Gli investimenti saranno inferiori ai 600 milioni e il primo dividendo potrebbe vedersi nel 2017.

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