Usa-Cina, è fuoco incrociato sui dazi

Al via domani le nuove tariffe volute dalla Casa Bianca. Pechino: «Risponderemo»

Usa-Cina, è fuoco incrociato sui dazi

La rabbia non gli è ancora sbollita. Al punto che ieri Donald Trump ha dato ordine di rendere ufficiale l'aumento dei dazi, dal 10% al 25% su 200 miliardi di dollari sulle merci cinesi a partire dalla mezzanotte di domani, ora di Washington. Una dichiarazione di guerra in piena regola, anche se «la Cina ci ha informato che il vicepremier cinese sta arrivando negli Stati Uniti per fare un accordo», ha tweettato il presidente Usa. The Donald è furioso dalla sera di venerdì scorso, quando ha posato gli occhi sul documento inviato da Pechino. Quello che doveva essere l'ultimo passaggio intermedio prima di siglare l'accordo, si è invece rivelato una pillola avvelenata sotto forma di cablogramma con cui il Dragone, in base alla ricostruzione della Reuters, ha rottamato i principi cardine del deal, tirando una riga sugli impegni presi per riscrivere le norme sulla proprietà intellettuale, i trasferimenti di tecnologia, l'accesso ai servizi finanziari e la manipolazione della valuta. Un dietrofront che ha colto di sorpresa il tycoon, scatenandone l'ira e la successiva minaccia di introdurre ulteriori tariffe punitive. Sulle cause, Trump si è fatto un'idea. Eccola, espressa in un cinguettio velenoso: «Il motivo alla base della marcia indietro della Cina e del tentativo di rinegoziare l'accordo commerciale è la sincera speranza che loro hanno di rinegoziare con Joe Biden (candidato alle presidenziali del 2020, ndr) o con un altro democratico molto debole per continuare a spremere gli Stati Uniti (500 miliardi di dollari all'anno) anche in futuro. Ma questo non succederà».

Toni aspri, a rendere esigui i margini per un esito positivo dei negoziati, alla ripresa oggi nella capitale Usa. Assicurando la presenza di Liu al nuovo round di trattative, il governo di Pechino sembra lanciare un segnale distensivo. Ma il fuoco cova sotto la cenere. Anche perché il deterioramento dei rapporti con l'America non è solo ascrivibile al duello commerciale, ma è frutto anche degli attriti provocati da Washington con la decisione di vendere armi per miliardi di dollari a Taiwan, quando solo pochi mesi fa il presidente cinese Xi aveva promesso di riportare la provincia sotto il controllo di Pechino. Nè hanno giovato le recenti esercitazioni nel Mar della Cina delle navi statunitensi. Trump ostenta modi da cow-boy, sostenendo che la trade war fa più male al rivale asiatico, cui converrebbe quindi firmare l'accordo: «Io sono molto felice con oltre 100 miliardi di dollari in dazi che riempiono le casse degli Stati Uniti. Ottimo per gli Usa, non positivo per la Cina». Eppure, gli ultimi dati raccontano un'altra storia: il surplus commerciale cinese verso gli Usa è salito in aprile a 21 miliardi di dollari, dopo i 20,5 di marzo, nonostante le esportazioni cinesi verso il mondo siano diminuite del 2,7%, a 13,8 miliardi, rispetto all'anno scorso. Inoltre, l'inquilino della Casa Bianca sa bene che ai dazi si risponde coi dazi. Infatti: «La Cina - ha annunciato il ministero del Commercio - si rammarica profondamente del fatto che, se verranno messe in atto le misure tariffarie statunitensi, dovrà adottare le necessarie contromisure».

I mercati continuano a seguire con una certa apprensione gli sviluppi della disputa.

L'inversione di tendenza di Wall Street sul finale di seduta delle Borse europee e l'allungo del prezzo del petrolio hanno permesso ieri ai listini continentali di non subire altri crolli (piatta Piazza Affari, a -0,07%). Ma i danni provocati dai due tweet di Trump di lunedì e martedì sono stati ingenti: secondo Bloomberg, sono andati in fumo 1.360 miliardi di dollari di capitalizzazione globale.

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