Economia

Gli Usa "sorpassano" la Bce sulla ripresa del post-Covid

Nei verbali della Fed spunta il ritiro degli aiuti, mentre l'Eurotower studia di potenziare il bazooka

Gli Usa "sorpassano" la Bce sulla ripresa del post-Covid

Wall Street non ha preso paura neppure davanti alle scene del Congresso Usa trasformato in un bivacco di manipoli, ma forse dovrebbe cominciare a preoccuparsi almeno un po' per quello che bolle in pentola alla Federal Reserve. I verbali della riunione di dicembre, passati sotto traccia, rappresentano un punto di svolta fra ciò che è stato finora e ciò che sarà in un futuro non troppo lontano. Quando, archiviato l'armamentario dell'emergenza, la banca centrale guidata da Jerome Powell (in foto) darà il via a un primo, seppur parziale, processo di normalizzazione della politica monetaria. Già ora, peraltro, quelle minute segnalano una divaricazione in fieri rispetto alla road map della Bce guidata da Christine Lagarde.

A Francoforte, infatti, si ragiona ancora in termini di maggiore sostegno all'economia, come ribadito nell'ultimo Bollettino. Al punto che, nei prossimi mesi, non è da escludere un ulteriore aumento della potenza di fuoco del Pepp (il piano d'acquisti contro la pandemia), oggi pari a 1.850 miliardi di euro. Soprattutto se il varo del Recovery Fund subirà ritardi e se la campagna vaccinale non avrà ancora assicurato la necessaria immunità di gregge.

Senza più Donald Trump a soffiarle sul collo, adesso la Fed ha le mani libere. E, infatti, nel documento dicembrino riecheggia dopo anni il termine «tapering». Il passaggio-chiave è questo: «Alcuni partecipanti (alla riunione, ndr) hanno notato che potrebbe iniziare una graduale riduzione degli acquisti». Il ritorno al passato sarebbe agevolato dalla «resilienza dell'economia», da una ripresa «più forte del previsto» e da indicazioni di un potenziale «maggiore slancio dell'attività economica rispetto a quanto si pensasse in precedenza». Powell sa inoltre di poter contare sullo sforzo finanziario che il neo-eletto presidente Joe Biden intende profondere per rimettere l'economia sui binari della ripresa. L'avversario di The Donald scoprirà giovedì prossimo le carte del suo piano fiscale, ma già ha promesso uno stimolo da «diversi trilioni di dollari». La sponda della Casa Bianca permetterà a Eccles Building di far le cose con calma e di comunicare ai mercati in modo chiaro come e quando intende muoversi. L'imperativo è uno solo: evitare di ripetere l'errore commesso nel 2013 dall'allora numero uno, Ben Bernanke, che a sorpresa decretò la fine del terzo round di quantitative easing da 85 miliardi mensili, provocando il crollo delle Borse e dei rendimenti dei Treasury.

La Fed ha però davanti una montagna da scalare: i tassi sono allo 0-0,25%, il Qe attuale vale 120 miliardi al mese e il budget della banca centrale Usa è lievitato da 3.880 a 6.600 miliardi attraverso le partecipazioni in bond e Mbs (i titoli garantiti da ipoteche sugli immobili). Per riportare la massa patrimoniale ai livelli pre-Covid occorrerebbe prosciugare il bilancio di oltre 2.700 miliardi. Un'operazione da far tremare i polsi. Per questo, Morgan Stanley è convinta che la Fed si muoverà con i piedi di piombo. E immagina questo ruolino di marcia: in giugno, in modo da avvertire con buon anticipo i mercati, verranno poste le basi per il tapering, che sarà poi formalmente deciso nella riunione di dicembre e reso effettivo da gennaio 2022. Il ritmo di riduzione degli asset dovrebbe prevedere minori acquisti di bond per 10 miliardi mensili e di Mbs per 5 miliardi. Su un possibile rialzo del costo del denaro, nessuno pare sbilanciarsi.

Wall Street potrebbe non gradire.

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