Vertice Opec senza Iran: verso il flop

Teheran non partecipa: difficile un'intesa sul calo della produzione di greggio. Ma i prezzi saliranno lo stesso

Cinzia Meoni

Grandi assenti tra i big del petrolio nel vertice dell'Opec che si terrà oggi a Doha, capitale dell'Emirato del Qatar, e che, probabilmente, lascerà inalterato lo scenario. L'obiettivo del summit è quello di trovare un accordo sul congelamento della produzione del greggio, in grado di rilanciare i prezzi dell'oro nero sceso, lo scorso gennaio, fino a 27 dollari a barile (attualmente il Brent viaggia intorno ai 43 dollari, il Wti sopra i 41). Più in dettaglio, si parla di un taglio di 1-2 milioni di barili al giorno, capace di contenere l'eccedenza dell'offerta. Ma l'atteso appuntamento di Doha potrebbe risolversi con un nulla di fatto. Per gli esperti non sarebbe comunque un dramma. Il prezzo dell'oro nero è destinato a risalire nel medio-lungo termine grazie al mutato scenario economico e alle dinamiche tra domanda e offerta. Ma è comunque indubbio che, in assenza perfino di quel «gentlemen agreement» invocato da Alexander Novak, ministro dell'energia russo, l'attuale situazione di stallo aumenterà nel breve termine la volatilità sull'oro nero.

Al tavolo delle trattative saranno numerose le poltrone vuote. A iniziare dall'Iran. Secondo fonti stampa, il quinto esportatore mondiale di greggio non vuole trovarsi a dover siglare un accordo controproducente per la sua industria.

L'obiettivo di Teheran, appena riemerso dalle sanzioni internazionali, è quello di riportare la produzione ai livelli precedenti alle restrizioni, ovvero a 4 milioni di barili al giorno, il doppio rispetto a quelli attuali. Assente anche la Libia. Non risponderanno all'appello neppure numerosi Paesi produttori non aderenti all'Opec, ma invitati comunque all'appuntamento a Doha. Di sicuro non ci saranno gli Usa, ma neppure, secondo le ultime indiscrezioni, Canada, Norvegia e Regno Unito. Dovrebbero invece inviare un osservatore Kazakhstan, Azerbaijan, Nigeria, Kuwait, Oman, Colombia, Algeria, Angola, Ecuador, Indonesia e Messico. Sarà infine presente la Russia.

In questo scenario già complesso e caratterizzato dalle pesanti assenze, il principe saudita Mohammed bin Salman, presidente della Saudi Arabian Oil Company, ha ribadito che firmerà un accordo per il congelamento della produzione di petrolio solo se parteciperanno tutti i maggiori produttori, con particolare riferimento ai vicini e rivali iraniani, che però, appunto, non saranno presenti a Doha.

D'altro canto proprio Arabia Saudita e Russia, due principali Paesi produttori di greggio, pur mostrando aperture a parole alle ipotesi di un taglio, hanno alzato da inizio anno la produzione a livelli record. Insomma, nonostante i tanti dichiarati buoni propositi, l'accordo sembra piuttosto difficile da raggiungere.

Nonostante tutto, per gli esperti il petrolio è destinato a recuperate terreno. La stessa Agenzia internazionale dell'Energia si attende il raggiungimento dell'equilibrio tra domanda e offerta a partire dalla seconda metà del 2016, con l'eccedenza della produzione in discesa a 200 mila barili al giorno rispetto agli attuali 1,5 milioni, a causa del calo della produzione dello shale oil americano e alla ripresa graduale delle esportazioni dall'Iran.

«Il mercato del greggio sta tornando in equilibrio, con o senza accordo, grazie al crollo dell'offerta Usa e all'incremento della domanda» ribadisce Francisco Blanch strategist per Bank of America Merrill Lynch. «Sebbene ci aspettiamo ulteriore volatilità, il punto di svolta del mercato del petrolio sembra vicino» conclude Roberto Cominotto, gestore del fondo Julius Baer Multistock Energy Fund di Gam.

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