Sono molte le partite aperte per Telecom Italia. Tra sfoltimento degli organici (sono previste uscite per 7.500 dipendenti), confronto con l'Agcom e il governo per la realizzazione della rete a banda ultralarga, sviluppo del 5G e presentazione del piano industriale triennale previsto per il 6 marzo, gli impegni non mancano.
A dicembre però l'ad Amos Genish è rimasto per ben tre settimane in Brasile. Mossa che ha fatto scattare supposizioni di una sua possibile uscita dal gruppo. Ieri Genish ha smentito: «Sono impegnato al 100% nel rilancio di Tim e nella messa a punto del piano industriale, che rappresenta un progetto personale e professionale di lungo periodo». Più fonti, tuttavia, parlano di tensioni crescenti fra il top manager e il primo azionista, Vivendi, che ha il 23,9% della società di tlc italiana. I francesi hanno centralizzato gli acquisti di Telecom, affidandoli a Michel Sibony fedelissimo del presidente di Vivendi, Vincent Bollorè, che, in meno di due anni ha cambiato tre ad. Anche i predecessori di Genish, Marco Patuano e Flavio Cattaneo, hanno lasciato Telecom per disaccordi con le strategie impostate da Vivendi, ossia da Bollorè, rappresentato al vertice della società italiana dal presidente Arnaud de Puyfontaine, che è anche l'ad della compagine francese. Ieri anche de Puyfontaine ha rinnovato la fiducia in Genish «del quale condividiamo strategia e visione».
Pare, però, che il feeling aziendale in Telecom non sia dei migliori. «Vivendi non vuole dare autonomia ai manager - ha spiegato una fonte interpellata da Reuters - , e Genish si è trovato solo in un gruppo molto complesso. Numerosi dirigenti stanno lasciando e non è facile trovare sostituzioni di alto standing». Certo, per Vivendi un'uscita di Genish in un momento cruciale come l'attuale sarebbe un danno, visto che la governance in cda e nel collegio sindacale ha già dimostrato più di una frizione. Tanto che Telecom ha dovuto rivedere la joint venture, già decisa, tra Tim Vision e Canal Plus. Al momento la mossa migliore dell'ad sono stati i vertici con il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, per ricucire le relazioni con il governo. L'esecutivo, dopo aver catalogato come «strategici» alcuni asset del gruppo, ha infatti già fatto scattare il «golden power».
Genish, visto il contesto interno a Tim, potrebbe aver giocato d'attacco: l'ex-capitano dell'esercito israeliano, infatti, avrebbe già trovato in Brasile una nuova collocazione come ad di Oi. Ma non è da escludere che proprio la ridda di voci su un addio dell'ad finisca per obbligare Vivendi a dare più fiducia a Genish e alla sua squadra pur di evitare un nuovo ribaltone al vertice.
Per gli analisti di Akros l'eventuale uscita dell'ad sarebbe infatti preoccupante visto che è in carica da meno di quattro mesi e sta seguendo il piano industriale che prevede un deciso taglio dei costi. Il vero problema a questo punto non è Genish ma l'azionista, Vivendi, le cui strategie appaiano altalenanti. Come dimostra anche il caso Premium, la pay tv di Mediaset, che Vivendi aveva deciso di comperare e di creare insieme una società per produrre contenuti destinati al mercato Ue. Ma poi il gruppo di Bolloré si è rifiutato di procedere all'acquisto, malgrado la firma di un contratto vincolante. L'esito è stato così la maxi-causa intentata da Mediaset, che vedrà il primo atto il 27 febbraio. Vivendi ha poi progettato una joint venture tra Tim Vision, il braccio per i contenuti di Tim, e la sua pay tv Canal Plus. Ma anche questo accordo si è incagliato sugli scogli della governance.
Ora bisogna capire se Vivendi voglia davvero essere un investitore di lungo periodo in Tim e creare un impero media nel sud Europa, o invece intenda usarla come un asset da scambiare nella prossima ondata di consolidamenti in Europa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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