Adesso non funziona più nemmeno quel movimento a elastico, da yo-yo, fatto di discese ardite e di risalite. Wall Street sembra avere ormai la faccia brutta dei giorni peggiori, quella che consiglia alle altre Borse di girare al largo dal Toro. Così ieri si è chiusa una settimana da lettino dello psicanalista, con i mercati a interrogarsi su «da dove venivano? Che siamo? Dove andiamo?». Ecco, sulla direzione da prendere c'è forse ancora qualche incertezza, anche se alla fine i numeri raccontano di un'ottava mandata agli archivi con bilanci in rosso a ogni latitudine e longitudine. Ne sanno qualcosa i listini europei, tutti negativi (-1% Londra, -1,25% Francoforte, -1,2% Madrid, -1,4%); e ne sa qualcosa anche Piazza Affari: dopo l'ultimo calo dell'1,3, il deficit settimanale è salito al 4,7%. In appena cinque sedute sono svaporati tutti i guadagni messi in carniere dall'inizio dell'anno.
Dopo una giornata intera passata sull'ottovolante, a New York è arrivato un ultimo inatteso colpo di reni nell'ultima mezz'ora prima della chiusura dopo la batosta presa giovedì sera. Si è visto il Dow Jones perdere oltre il 2% per poi ritracciare e chiudere in rialzo dell'1,38% a quota 24.190,90, anche se la settimana di contrattazione registra un segno negativo del 5%. Il Nasdaq ha guadagnato l'1,44% a 6.874,49 punti. In genere, un fenomeno associabile al panic selling, quando cioè le azioni scottano e si è disposti a liberarsene a prezzi da saldi. Gli operatori negano situazioni da panico, ma quanto successo potrebbe indicare che è finita l'epoca del «buy the dip», quando la corrente degli acquisti è alimentata dai forti ribassi nella convinzione che il mercato, poi, risalirà.
Di sicuro, a parecchia gente tremano mani e portafogli: nei cinque giorni a mercoledì scorso, su scala globale, i fondi azionari hanno dovuto far fronte a riscatti per un controvalore di 30,6 miliardi di dollari a causa dei deflussi-monstre di matrice Usa (34 miliardi). È un esodo di massa che dà la misura di quanto i mercati siano entrati in territori pericolosi, con sviluppi non facilmente calcolabili, governati come sono dalle aspettative sui tassi. Che impattano violentemente non solo sull'azionario, ma anche sull'obbligazionario attraverso l'ascesa dei rendimenti sui Treasury. Ancora scottato dall'esito infausto delle ultime aste, il Tesoro Usa sarà costretto a rastrellare buona parte dei 300 miliardi necessari alle casse federali per coprire le spese straordinarie legate alla riforma fiscale, alla difesa e agli investimenti strutturali. Una missione ad alto rischio.
Di fronte alle quattro strette monetarie temute dai mercati, la Federal Reserve ha finora opposto le dichiarazioni rassicuranti di cinque governatori. Parole considerate deboli dai mercati, dove forse si pretende la luna. Ovvero, un intervento del neo-eletto presidente della Fed, Jerome Powell, più o meno di questo tipo: «Ok, boys, calma e gesso: quest'anno alzerò i tassi due, al massimo tre volte. Contenti?». In realtà resta ancora da capire se la banca centrale americana ritenga fisiologica l'attuale correzione che va a incasellarsi in un periodo in cui, a partire dal 2009, gli indici di Wall Street sono quadruplicati.
Un'Idra del rialzo che la stessa Fed ha contribuito a generare con lo schiacciamento del costo del denaro (la causa dei buy back miliardari) e acquistando a mani basse quei titoli di Stato e quelli legati ai mutui di cui ora sta cercando di sbarazzarsi forse troppo in fretta.Ieri è stata fischiata solo la fine del primo tempo: dopo il week-end, mettiamo in conto altre entrate a gamba tesa. Il gioco si sta facendo duro.
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