La Federal Reserve ha aumentato il tasso di interesse di 0,25 punti portandolo dallo 0,75% all'1% contro le previsioni secondo cui questo aumento si sarebbe verificato solo fra qualche mese. Si tratta di un segnale chiaro: la politica di denaro facile della Fed volge alla fine, sia pure con tappe graduali, che il mercato sta scontando. E ciò si ripercuote anche sul nostro mercato finanziario e, in particolare, su quello del nostro debito pubblico, per la sua componente estera. Wall Street chiederà più alti rendimenti per investire in Europa e, in particolare in Italia, nel nostro debito, che fino ad ora è stato protetto dall'ombrello di Janet Yellen e dall'ombrellone di Draghi, che avrà crescenti difficoltà a spiegare ai tedeschi perché lui intenda continuare nella politica di facilitazione quantitativa ancora per tutto il 2017.
La decisione della presidente della Fed, per altro, ha tre buone motivazioni, su cui anche noi dovremmo far mente locale. La prima è costituita dal tasso di inflazione, che anche al netto del petrolio è salita in febbraio al 2,7% contro il 2,5 di gennaio dato il risveglio dei prezzi delle materie prime e l'aumento di quelli interni. Si tratta di un fenomeno che si sta verificando anche in Europa, ove i prezzi sono saliti in febbraio allo 1,9% dallo 1,6 del mese precedente (1,6 in Italia con +0,4 rispetto al gennaio), al lordo del prezzo del petrolio e del gas naturale che entrano nel nostro indice e non in quello Usa e che noi in larga misura importiamo a differenza dell'America. La seconda ragione, per cui la Yellen sta alzando i tassi, in un modo che alcuni considerano assai cauto, è che la Fed ha fra i suoi obbiettivi il pieno impiego, che oramai è stato raggiunto: la disoccupazione a febbraio è al 4,7%. La crescita del Pil è solo di 1,8%, ma la finanza americana scommette su cifre più alte data la politica espansiva di Trump. Ed ecco la terza ragione per cui la tendenza della Fed è al rialzo dei tassi e i rendimenti degli investimenti finanziari negli Usa stanno aumentando: la previsione di una politica fiscale di espansione dell'investimento e della spesa militare (che in gran parte riguarda industrie di tecnologia avanzata) e di connesso aumento del deficit federale. Trump annuncia la riduzione delle imposte sulle imprese e ciò può comportare una politica monetaria meno permissiva, per evitare una spirale inflazionistica.
In questo quadro, che succederà a noi in Italia? Il nostro debito richiederà una maggiore spesa per interesse perché, dal punto di vista internazionale, il suo acquisto diventa meno conveniente. Ma questo debito a differenza di quello che Trump mette in cantiere, non è servito per spese di investimento, è servito per spese correnti e riduzioni fiscali come gli 80 euro in busta paga che non han creato maggior produttività e più Pil, né più posti di lavoro. La nostra disoccupazione è sopra l'11% perché il nostro mercato del lavoro è rigido a differenza di quello Usa.
Mentre negli USA finisce la politica monetaria espansiva perché c'è il pieno impiego e si prospetta una fase di espansione economica, noi in Italia ne subiamo il contraccolpo monetario, ma non riusciamo a trarne i benefici teoricamente possibili, perché la nostra economia e la nostra politica sono ingessate e l'Italia è oggettivamente in stagflazione con una crescita anemica dell'1% e una tendenza dei prezzi a salire al di sopra dell'1,6 verso il 2%.
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