Janet Yellen si congeda dalla Federal Reserve con cinque rialzi dei tassi all'attivo, l'ultimo dei quali deciso ieri con un ritocco di un quarto di punto. Da febbraio toccherà a Jerome Powell, il suo successore, guidare le danze partendo dall'attuale base di 1,25-1,50%. Ma lo spartito non cambierà: la Fed ha confermato l'intenzione di alzare per tre volte nel corso del 2018 il costo del denaro, in maniera «modesta». Segno che la prudenza sarà mantenuta nonostante le stime di crescita siano state riviste all'insù, al 2,5%, sia per quest'anno, sia per il prossimo (+2,5%). Durante la conferenza stampa («È l'ultima per me, il prossimo mese e mezzo lo dedicherò ad agevolare una transizione facile», ha precisato), la presidente uscente della banca centrale Usa ha in parte promosso la riforma fiscale voluta da Donald Trump: aiuterà la crescita economica nei prossimi anni, seppure l'ordine di grandezza e la sua durata «restino incerti». Quanto all'inflazione, resterà il tallone d'Achille della Fed: non andrà oltre l'1,9% nel 2017 e nel '18. «La nostra comprensione delle forze che guidano l'inflazione è imperfetta», ha ammesso la Yellen.
A partire da gennaio, subirà un'accelerazione di riduzione del bilancio: 12 miliardi di dollari di Treasury non saranno reinvestiti, così come gli 8 miliardi di titoli garantiti da sottostante immobiliare. Un altro passo in avanti nel processo di normalizzazione della politica della Fed, peraltro ancora ben lungi dall'essere vicino al completamento.
Ma qual è il bilancio dei suoi quattro anni al comando della Fed? La risposta potrebbe essere racchiusa in una elementare constatazione: la Yellen ha portato a termine il suo mandato senza incrociare neppure un focolaio di crisi. Una sorta di unicum negli ultimi 40 anni della banca centrale Usa: negli anni '80, Paul Volcker fu costretto ad alzare impetuosamente i tassi per fronteggiare l'iper-inflazione e subì anche la crisi del debito latino-americano; nella quasi ventennale permanenza a Eccles Building, Alan Greenspan dovette gestire il crac di Wall Street dell'87 e il successivo collasso delle dot.com; per non parlare di Ben Bernanke, investito dal treno in corsa dei mutui subprime col suo carico di sostanze tossiche. La prima donna a capo della Fed ha invece vissuto quattro anni sostanzialmente privi di insidie sotto il profilo macroeconomico e col vento in poppa dal punto di vista finanziario. I record di Wall Street ne sono la prova più evidente, ma il dato più eclatante è l'assenza di ribassi mensili, nell'intero 2017, dell'Msci World Index. Un fatto mai successo. I mercati «sono saliti molto quest'anno» e i rapporti prezzo-utili sono verso i massimi storici. Detto questo, il sistema finanziario «è più sicuro», anche grazie ai provvedimenti presi dalla Fed, ha detto la Yellen. Che giudica il Bitcoin un «asset altamente speculativo», anche se non spetta alla Fed intervenire sul fronte della regolamentazione.
Vista da questa prospettiva, l'eredità che Janet lascia a Powell appare estremamente positiva. Non però per chi crede che la Yellen abbia contribuito a creare una gigantesca bolla sul mercato azionario Usa, e abbia mascherato l'effettivo stato di salute del mercato del lavoro, da cui dipende con buona certezza l'anemia dell'inflazione a causa di salari stagnanti. Inoltre, c'è il debito federale, al 65% del Pil.
Un livello che, per stessa ammissione della presidente uscente, «non dovrebbe far dormire all'America sonni tranquilli». Insomma: Powell ha davanti un tappeto di rose. Bello, ma ci sono anche le spine. Potrebbero far male.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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