Edili e dintorni I piccoli imprenditori e la protesta dignitosa

Di questi tempi è facilissimo leggere proteste e lamentazioni di categorie e corporazioni super-tutelate. Ci sono alcuni metalmeccanici che difendono i loro compagni di lavoro (si fa per dire) sospesi perché pescavano con le pinne, fucile ed occhiali nelle acque davanti allo stabilimento di Sestri, con tanto di muta per non sentire il freddo. Ci sono alcuni orchestrali che difendono con le unghie e con i denti il loro lavoro (si fa sempre per dire), dopo aver spiegato che quei denti li battevano perché si sentiva uno spiffero in palcoscenico. Spiffero peraltro capace di far saltare proprio l’opera che dovevano mettere in scena in quel momento.
Insomma, spesso ci si occupa di problemi del lavoro e si dà spazio e risonanza solo a coloro che urlano di più. E non è che sia troppo diversa dal punto di vista delle aziende: quelle che finiscono sui giornali sono quelle che piangono e riescono a prendersi più soldi dallo Stato. Solitamente, lamentandosi dopo averli incassati perché sono troppo pochi. Non senza essersi prima lamentati dell’eccesso di «gossip», citando vergognosamente e trombonescamente nella categoria «gossip» sempre e solo la storia della casa di Montecarlo.
Poi, c’è un’altra Italia. Ed è l’Italia delle piccole e medie imprese, della spina dorsale del Paese. Che lavora molto e piange poco. Ma che, come e più di quelli che piangono molto e lavorano poco, è in grave crisi. A soffrire, in particolare, è il comparto dell’edilizia che, solo in Liguria, solo nell’ultimo anno, ha visto chiudere quattrocento aziende, per un totale di 2000 posti di lavoro. E anche quelle che sopravvivono, stanno come d’autunno sugli alberi, alla faccia del luogo comune che vuole l’imprenditore edile come un riccastro, un po’ palazzinaro e magari pure corruttore.
Intendiamoci, ci sono pure quelli. Ma la stragrande maggioranza è fatta di gente perbene. Che - fra l’altro - non chiede soldi. Ma si limita, semplicemente, a domandare meno burocrazia e meno appesantimenti per lavorare. Si limita, semplicemente, a chiedere un piano casa degno di questo nome, che permetta al settore di ripartire, come è successo in Veneto. Si limita, semplicemente, a chiedere di essere pagata dalle pubbliche amministrazioni nei tempi previsti dai contratti, dopo aver consegnato regolarmente il lavoro.

Mentre oggi capita che un imprenditore edile si veda estromesso dalle gare per aver presentato una richiesta con un secondo di ritardo, ma poi aspetti anni per veder saldate le proprie fatture dallo Stato. Su cui, ovviamente, ha già pagato l’Iva.
Sono eroi silenziosi di cui non parla nessuna politica e per cui nessuna politica fa nulla. Molto più facile fare da megafono a chi urla di più.

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