Impara linglese con il Pd? Da ieri potrebbe essere davvero questo uno slogan forte della campagna elettorale grazie allironia caustica dei socialisti di Enrico Boselli e allesterofilìa un po maldestra dei «neo-democrat» dall«anglicismo» facile. Sta di fatto che i socialisti boselliani hanno passato ai raggi X il programma presentato ieri dal Pd individuando ben 40 vocaboli inglesi in appena 37 pagine di testo.
Ma noi, per spiegarvi cosè accaduto alla nostra lingua - da Benito Mussolini ad Alberto Sordi, da Roberto Benigni a Francesco Rutelli - facciamo un passo indietro. Per dire. Cè stato un periodo mitico, ancora nellItalia dei primi anni novanta in cui - per assonanza e ignoranza - era diffusa la convinzione che lorecchiabilissimo ritornello di un grande successo dei Queen fosse: «Annamosa fà du toast». Perché mai Freddy Mercury potesse ricorrere al vernacolo romanesco era un dubbio che sfiorava pochi. Ci volle leroica opera di chiarificazione dei pochi conoscitori delle lingue straniere per spiegare che invece le parole esatte erano «Another one bites the dust» («Un altro morde la polvere»). Quello, come tanti altri simili abbagli, erano limmagine di un paese provinciale ma molto sicuro di sé che tendeva a italianizzare tutto quel che non capiva. E che probabilmente si rifugiava nel «maccheronico», per eredità storiche quasi ancestrali, riprendendo inconsapevolmente le antiche battaglie linguistiche di mussoliniana memoria coltivando «il voi» contro «il lei» (che ovviamente per il Duce era «anglosassone e servile») pur di resistere allinfluenza della perfida Albione. Storpiavamo tutte le lingue perché Dario Fo ci aveva convinto che con lonomatopea ci si può spiegare in tutto il mondo. E Totò che per dire prego in tedesco si poteva anche dire «Bitter» (anziché Bitte, fantastico...). Perché, come insegnava Nando Moriconi-Alberto Sordi: «I macaroni so roba da mericani».
Persino Roberto Benigni celebrò lo slang pasticciato in un film che si intitolava Daunbailò (anziché Down by law) in cui il comico toscano parlava in una memorabile lingua-pasticcio, un po assonante, un po orecchiata, dove salutava gli americani gridando: «Wish you were here!» (solo perché la frase - «vorrei che tu fossi qui» - è il titolo del più famoso album dei Pink Floyd). Benigni spiegava la sua cattura ai compagni di cella in una sequenza di irresistibile inglese orecchiato che suonava così: We was playing cards... the table... and I had no money, but I'm a cheater... (Altro che discolparsi, la traduzione era: «Giocavamo a carte e non avevo soldi. Però sono un baro!»). Adesso siamo passati da un eccesso allaltro, e si anglicizza tutto pur di darsi un tono. La strada lha aperta «Franciasco» Rutelli, con il suo memorabile appello in inglese - da ministro della cultura! - sul portale Italia: «Pliz, pliz... vizit aur cauntri...». Ovvero: «Please, please, visit our country» («Per piacere, visitate il nostro Paese»). E così ieri, i boselliani si sono divertiti a farsi beffe del «linguisticamente corretto» imperante nel Pd. Risultato dellanalisi sul testo del programma? Un elenco fantastico di parolette: «Benchmarking, Spoil system, Intelligence, Hub, Partnership, Core Business, Performances, Private Equity, Stalking, Energy intensive e Saving, Carbon Tax, Competitors, Green Land, Brown Lands, High Tech, Flexsicurity, Social Housing, Best Practices, Social Network, Biotech, Policy e così via...». Chiosa perfetta: «Verrebbe da chiedere agli estensori del programma del Pd per quale vezzo abbiano preferito un Social Housing ad un più comprensibile Edilizia Popolare. Però - concludono i boselliani - ora tutti noi sappiamo che se la ricetta made in England proposta dal Pd non riuscirà a salvare lItalia dal declino economico, morale e dai tanti problemi che laffliggono, almeno contribuirà a migliorare linglese di tutti». Non sappiamo se sarà davvero così.
Luca Telese
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