Macchina e uomo: l’incubo della sostituzione

L'intelligenza artificiale sta plasmando una nuova rivoluzione industriale. Il convegno organizzato da il Giornale in collaborazione con il settimanale economico Moneta. Dalle 9.30 alle 12.30 alla Fondazione Feltrinelli. L'ingresso è gratuito previa registrazione

Macchina e uomo: l’incubo della sostituzione
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L'ingresso è gratuito previa registrazione qui: https://shorturl.at/2iDM8

La storia comincia davanti a un distributore automatico che fa caffè come un impiegato diligente: mai un ritardo, mai un giudizio, nessun gusto per il rischio. È mattina, Milano si sveglia in verticale, ed è qui che lui, l’uomo che chiameremo N., scopre all’improvviso di essere diventato inutile. Non un’inutilità tragica, con trombe d’apocalisse e angeli caduti, ma una piccola fessura nella giornata: una mail che scrive da sola, un report che si compila in background, una macchina che indovina prima di lui cosa farà alle 11.03. Se ne accorge da un dettaglio: il caffè del distributore è ai limiti del buono e, per la prima volta, non ha nulla da recriminare. È come guardarsi allo specchio e non trovare un difetto a cui aggrapparsi per sentirsi vivo.

N. fa un mestiere qualunque, uno di quelli che hanno sempre avuto un nome e una scrivania. È un revisore di qualcosa, un correttore di rotta, uno che prende il reale e lo mette in riga. Fino a ieri serviva. Oggi gli basta una dashboard. La metropolitana lo risucchia, lui scorre tra facce stanche e pelli lucide di corsa, mentre un algoritmo appeso al soffitto elenca con voce amabile i prossimi arrivi, come una ninna nanna di silicio. La città, pensa, non ha più bisogno che la guardi: si racconta da sola, calcola, prevede, corregge, suggerisce. Lui è un riflesso in ritardo.

C’è stato un tempo in cui la paura aveva un volto eroico: fini del mondo, catastrofi che facevano rumore, il sole che si spegneva come una recita scolastica, il fungo atomico disegnato a matita nella mente. Adesso la paura è un sussurro che non sai da dove viene. Entra nel pendolo dei minuti, ti sfiora le tasche, ti dice: «Ci sono, faccio io». È un aiutante: non ti sostituisce, ti alleggerisce. Ed è proprio lì che fa male. Come quando un figlio ti toglie il sacchetto della spesa e capisci che sei anziano. La rivoluzione non arriva in parata: infiltra i giorni finché non ti accorgi che il tuo gesto non è più necessario.

N. una sera rientra tardi, accende il televisore senza volume e lascia che il mondo gli passi davanti in immagini: camion che si guidano da soli, operai che non sanno più verso cosa marciare, studenti ricuciti a un tablet, la musica composta da una rete neurale che imita la malinconia meglio di un pianoforte. L’eco di un pensiero gli si incastra nelle ossa: se il salario si sfila dalla catena, cosa tiene in piedi la giostra? Gli hanno detto che esiste un piano, una parola che suona gentile, quasi fiabesca: reddito universale. La macchina lavora, tu respiri. È la versione soft del paradiso, senza santi e senza peccati. Ma N. non sa se ringraziare o mettersi il cappotto. Immagina una fila in ufficio, una mano che timbra per lui il suo diritto alla sopravvivenza, una voce benevola che gli chiede come si sente, se dorme bene, se beve abbastanza acqua, se condivide contenuti in linea con il benessere generale. La libertà, pensa, potrebbe misurarsi in millimetri, come la tolleranza di una vite.

Sul tavolo della cucina c’è un libro lasciato aperto, le pagine che mostrano un dialogo di replicanti. “Il robot può avere la coscienza umana. Ma la sua, quale sarà?” scrive qualcuno. N. sorride. Sa che la domanda è una trappola per le anime romantiche. La macchina non ha bisogno di sapere chi è: le basta sapere cosa deve fare. È l’uomo che inciampa sul “chi”. Ogni tanto, di notte, N.

sogna di essere in un corridoio blu, la pioggia fuori che cade verticale come nel cinema di quando era ragazzo. Un’ombra gli sussurra all’orecchio: «Lottare da soli contro il mondo è terribile, ma è bello». Al risveglio gli resta addosso quell’aggettivo – bello – come un refolo caldo in fondo all’inverno.

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