Egitto, il tramonto dell’era Mubarak

Massimo Introvigne

Il responso delle elezioni egiziane, interpretato dall’amministrazione americana, è che Mubarak è incompatibile con il progetto di Grande Medio Oriente e se ne deve andare. La seconda amministrazione Bush è diversa dalla prima. Bush ha ottenuto la rielezione appoggiandosi sui valori del conservatorismo religioso, e oggi tra i suoi consiglieri ci sono più rappresentanti di questi valori - i cosiddetti teocon - che non neo conservatori (neocon). Il progetto teocon per il Medio Oriente va al di là della semplice diffusione della democrazia: con il nome di Global muslim outreach, «Mano tesa globale ai musulmani (moderati)», mira a un’identificazione paese per paese di partner musulmani conservatori, considerati più capaci di vincere le elezioni e instaurare governi stabili rispetto ai musulmani «laici».
Da questa prospettiva Mubarak, nella tornata elettorale che si conclude in Egitto, ha fatto il contrario di quello che i teocon si aspettano. Le elezioni egiziane non sono veramente democratiche per due ragioni. Perché il governo decide chi può partecipare e chi no, e perché - quando questa barriera non funziona - intervengono i brogli elettorali. L’Egitto è un paese cui guarda tutto il mondo arabo, su cui i suoi pensatori, letterati e perfino cantanti esercitano una leadership culturale ed è la capitale mondiale del fondamentalismo islamico e della sua organizzazione di punta, i Fratelli musulmani. Mubarak ha messo i Fratelli fuori legge, e ogni tanto ne arresta qualcuno, ma di fatto - e senza troppo dirlo - esercita il potere in un imbarazzato condominio con i fondamentalisti, che controllano ampi settori della società civile.
I Fratelli egiziani sono tuttavia in un periodo di crisi. Al loro interno è nato un conflitto generazionale dove i giovani rimproverano ai più anziani una gestione centralistica del movimento, ispirata ai vecchi partiti comunisti europei, che paradossalmente i Fratelli hanno in comune con il partito nazionalista di Mubarak. Dai Fratelli si staccano così correnti “neo fondamentaliste” che si esprimono in linguaggi diversi ispirati a correnti occidentali molto varie - dal postmodernismo no global abbracciato da un Tariq Ramadan al neo conservatorismo americano e perfino al new age - ma che chiedono meno centralismo, e una visione “minimalista” dello Stato che lasci spazio alla società civile. I neo-fondamentalismi (perché non ce n’è uno solo) erano confluiti in Egitto nel partito Wasat, il cui nome significa «Centro» o «Moderati».
Affermando che nel Wasat c’erano anche i neo fondamentalisti più ambigui di Tariq Ramadan - che ci sono, ma non esauriscono il partito - Mubarak ha vietato loro di partecipare alle elezioni, in realtà temendo che la posizione neo fondamentalista possa diventare maggioritaria e allontanarlo dal potere. Ha permesso invece ad esponenti del fondamentalismo classico dei Fratelli di candidarsi come indipendenti, immaginando che comunque non potessero vincere. Quando ai primi turni i Fratelli - in assenza di concorrenti islamici più moderati - hanno cominciato ad avanzare a valanga sono intervenuti i brogli elettorali. I teocon dell’amministrazione Bush non vogliono che i Fratelli si impadroniscano dell’Egitto.

Ma, nonostante le sue ambiguità, hanno aperto un dialogo con il Wasat e con forze simili della galassia neo fondamentalista, sperando che evolvano verso un islam conservatore. Un progetto in cui non c’è più posto per la democrazia truccata di Mubarak.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica