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Egregio ministro, l’Italia non è l’Urss

Egregio ministro, penso che su un argomento come quello da Lei sollevato e in considerazione della funzione che Lei ricopre, le discussioni debbano avvenire pubblicamente.
A maggior ragione dato che, come sempre, avevo manifestato il mio punto di vista sul Corriere della Sera; per me sede naturale di tante discussioni. Sono perciò esterrefatto dal leggere l'espressione della Sua contrarietà e la Sua meschina insinuazione - tanto assurda da ricordare un linguaggio che si usava nell'Unione Sovietica degli anni Trenta - in un’e-mail che Lei ha ritenuto di dover inviare a 92 illustri persone in Italia e all'estero. Non sento alcun bisogno di difendere la mia reputazione: sono dodici anni che scrivo sul Corriere della Sera, indipendentemente dai governi, dai presidenti del Consiglio, dai molti ministri e anche dai direttori del Corriere ai quali sono grato per la libertà che mi hanno sempre dato.
Sulla sostanza del suo dissenso quello che io comprendo è che per Lei il problema del controllo della spesa pubblica si riduce a varare ampie riforme. Mi pare scontato ma di questo sinora non abbiamo visto alcun segnale concreto.
I segnali sono importanti. Se il ministro Bersani o il viceministro Visco si fossero limitati a mettere allo studio ampie riforme delle professioni o del fisco, anziché varare qualche provvedimento concreto, oggi saremmo ancora a discutere.
Quanto alle riforme, il Suo ruolo è cruciale in quanto il ministro dell'Economia, diversamente dai suoi colleghi, è l'unico ad avere interesse per la riduzione e l'efficienza della spesa pubblica.


Quali sono stati, al di là delle affermazioni di principio, i passi concreti che Ella in questi mesi ha compiuto affinché su scuola, pensioni, sanità, pubblico impiego, enti inutili, finanza locale ci si incammini sul binario che Ella auspica?».

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