Gli elettori piegano la «Lady di ferro»

Non è bastata la verve della Lady di ferro Siv Jensen, la leader del partito populista del Progresso, a condurre il centrodestra norvegese alla vittoria. Gli exit poll usciti con inesorabile puntualità alle nove di ieri sera attribuiscono il successo alla coalizione rosso-verde guidata dal laburista Jens Stoltenberg: sarebbe la prima volta in sedici anni in Norvegia che un governo uscente viene confermato dagli elettori.
I sondaggi indicavano un testa a testa e così è stato, ma tra gli elettori sembra aver prevalso, sia pure di misura (87 seggi contro 82), l’intento di premiare le forze politiche che hanno gestito la grave crisi economica che ha invece travolto i cugini islandesi.
La Norvegia di oggi si trova ad affrontare un problema che tutti vorrebbero avere: che uso fare dell’immensa ricchezza arrivata dal mare del Nord, che non è più fornita dai merluzzi, bensì dal petrolio di cui è arrivata ad essere il quinto esportatore mondiale. La sinistra fino a ieri al governo l’ha usata per tener fuori il Paese, con discreti risultati invero, dalla crisi economica mondiale e per ridurre al minimo la disoccupazione; la destra che le ha conteso la vittoria nelle equilibratissime elezioni lamentava le troppe tasse e che avrebbe dovuto e potuto fare di più per combattere la povertà, per far funzionare degnamente gli ospedali e per tenere in ordine 93mila chilometri di strade che hanno un nemico in perenne agguato: il gelo. Lamentele un po’ forzate, in un Paese tutto sommato ricco ed efficiente. Ma la destra norvegese, e soprattutto il partito del Progresso (una specie di Lega scandinava) che è il più forte di un’ipotetica coalizione, ha un altro asso nella manica: l’allarme contro l’islamizzazione strisciante, come la definisce la “Lady di ferro”, che molti norvegesi sentono come il principale nodo della loro benestante società. Siamo un Paese piccolo, dice la grintosa signora, non arriviamo a cinque milioni di abitanti; e di questi, quasi duecentomila sono immigrati musulmani, poco intenzionati a una vera integrazione e viziati dalle eccessive concessioni fatte loro dalla sinistra.
La signora Jensen, una grande ammiratrice di Margaret Thatcher che si propone con crescente successo come baluardo delle tradizioni nazionali, aveva prodotto in campagna elettorale una lista delle richieste che i musulmani hanno fatto in varie occasioni e circostanze, irritando gran parte dei norvegesi abituati a uno stile di vita che ne è immensamente lontano, e non solo per via della loro sostanziale irreligiosità. Si va dalla pretesa dei genitori di separare le ragazze dai ragazzi durante le ore di attività sportiva alla richiesta dei carcerati di ricevere cibo corrispondente ai dettami islamici, fino alla bizzarra idea, fatta propria dal governo a guida laburista, di consentire alle donne poliziotto di aggiungere un velo islamico alla propria uniforme. Una proposta, questa, che è stata ritirata lo scorso 8 marzo, quando durante le manifestazioni per la giornata della donna una giovane norvegese di origini siriane bruciò pubblicamente il proprio velo in una strada di Oslo.
Faccende come queste - ma anche il fatto solo apparentemente banale che nelle vie della capitale gli immigrati musulmani siano sempre più numerosi - hanno spinto ieri il partito della “Lady di ferro” a un lusinghiero ma insufficiente risultato. Ma anche una vittoria avrebbe potuto rivelarsi inutile.

Se infatti il partito conservatore (secondo pilastro dello schieramento di destra) si diceva pronto a un’alleanza diretta con la “Lega” norvegese, era molto più difficile che i due partiti minori, quello liberale e quello democristiano, facessero altrettanto. E così a Oslo si sarebbero ritrovati comunque una sinistra di governo, seppure in minoranza.

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