Elettricisti e fabbri pronti a scendere in piazza

Marta Bravi

Gli artigiani non ci stanno. Il ticket anti-smog è la goccia che fa traboccare il vaso, o meglio il colpo di grazia, che rischia di rendere più conveniente chiudere bottega, nel vero senso della parola, piuttosto che continuare a lavorare. Molti artigiani, infatti, fanno avanti e indietro tra Milano e l’hinterland e non sopportano, loro e i loro portafogli, di dovere pagare il pedaggio ogni volta che rientrano in città, più volte al giorno. «Finiremo come in Argentina, in piazza con le spranghe», «sciopero», «rivolta» queste le parole d’ordine di una categoria allo stremo.
«Oggi (ieri, ndr) ho fatto tre volte il tragitto tra Milano, Gaggiano e Buccinasco - dice Adel, il fabbro, che ha un laboratorio in via Vigevano -. Con il ticket io avrei pagato tre volte. Non è accettabile. E se un giorno mi dimentico gli attrezzi? Sciopereremo per protesta». Stesso problema per Domenico, specializzato in ristrutturazioni interne, imbiancatura, verniciatura e stucchi. Lavora tra Milano e l’hinterland, spesso gli capita di entrare e uscire dalla città più volte al giorno. Per trasportare tutta l’attrezzatura ha bisogno ovviamente del furgone. «L’idraulico che lavora con me, che è di Varese, - spiega Domenico - è disperato. Il problema è che non possiamo più di tanto aumentare i costi dei servizi perché i clienti non ce la fanno a pagare. Cambiare il furgone? Certo con l’Euro4 non pagherei il ticket, ma io ho cambiato il mezzo quattro anni fa, non posso certo buttare 30mila euro perché nessuno comprerà mai il mio furgone e io non posso permettermi di comprarne uno nuovo». «Per non pagare il ticket dovrebbe entrare in città prima delle 7». «Si figuri - risponde Domenico scandalizzato - già abbiamo degli orari d’inferno, impensabile entrare prima delle sette. Finiremo come in Argentina, in piazza con le spranghe».
Diversa la posizione di Antonio, muratore di Cassano: «È chiaro che il ticket lo “pagheranno” i clienti - sbotta -. Non possiamo permetterci anche la spesa del ticket ogni volta che entriamo in città, quindi saremo costretti a ritoccare le tariffe». «Se ci vedrete navigare sul Naviglio, non chiedeteci il perché», scherza il collega Marco.
Ribalta la questione Antonio, elettrauto, che si interroga amaramente sull’opportunità o no di chiudere bottega: «A questo punto non mi conviene più lavorare - risponde serio -. Io e la mia famiglia abitiamo fuori Milano e venire a lavorare in città è una spesa per noi. Mia moglie spende 25 euro su 100 che guadagna al giorno, mia figlia anche fra treno e mezzi per andare in università. Adesso se dovrò pagare anche il ticket, non so come farò ad andare avanti». Caricare le tariffe? «Ma sta scherzando? Noi ormai siamo costretti ad abbassare i prezzi per lavorare». L’unica cosa che rimane da fare è far sentire la propria voce: «Scenderemo in piazza».
Claudio, che lavora in un’impresa edile e di ricambi, invece una soluzione ce l’ha: «Incentivi statali sui mezzi inquinanti o sulla rottamazione, lo Stato ci deve aiutare. Come si fa a punire chi viene in città per lavorare? La macchina è uno strumento di lavoro e la usa solo chi non ne può fare a meno.

Io abito a Monza e i pendolari si muovono con i mezzi, tutte le mattine, infatti, i treni sono pieni». Soluzioni? «Questo provvedimento danneggia non solo noi, ma anche i nostri clienti: saremo costretti infatti a ritoccare le tariffe, sicuramente quelle dei trasporti».
Ai milanesi, insomma, non resterà che pagare.

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