Elezioni europee Intesa bipartisan per introdurre lo sbarramento al 4 per cento

RomaPer beccare un seggio a Strasburgo, lo zero virgola non basterà più. Per essere rappresentati al Parlamento europeo, infatti, toccherà superare la soglia di sbarramento, issata al 4%. Un limite necessario, «per evitare un’eccessiva frammentazione», spiegano in coro Pdl e Pd. Una mannaia, replicano dal canto loro i piccoli, a sinistra come a destra. Rimarranno invece le preferenze, così come le cinque circoscrizioni. Accordo fatto, a Montecitorio, sulla nuova legge elettorale che porterà, il 6 e 7 giugno prossimi, alla scelta degli eurodeputati. E così, dopo il giro di consultazioni avviato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, i capigruppo danno il via libera, sebbene qualche distinguo («non è quello che volevamo, ma va bene così» è il commento ricorrente) al ddl che verrà discusso martedì in Aula e, salvo sorprese dell’ultima ora, approvato il giorno seguente. Il patto per le Europee, siglato subito dopo pranzo, spacca in maniera trasversale il fronte politico. Perché se Pdl (dove si puntava al 5%) e Pd (in cui si sperava nel 3%) puntano a rinsaldare lo schema bipartitico nazionale, i piccoli alzano le barricate. E protestano per una soglia che certifica già in partenza, in molti casi, la loro esclusione. E così, mentre l’Udc (imbrigliata al centro) dice sì un po’ a malincuore, perché ottiene il mantenimento delle preferenze ma dovrà comunque giocarsela, sperando di non perdere terreno per superare l’asticella del 4%, la sinistra scende in piazza contro i democratici e denuncia un «inciucio». Con Rifondazione che affila le armi contro Walter Veltroni, reo di aver voluto il «compromesso» che li condanna, a dispetto di chi, dentro il Pd (vedi Massimo D’Alema), auspicava magari un tetto d’ingresso più basso, per giocare di sponda, in futuro, con gli ex compagni d’un tempo (e non solo). Dall’altra parte, invece, la Destra, che rimarrebbe fuori a vantaggio del Pdl, chiede (in buona compagnia, per la verità) l’intervento del capo dello Stato. Intanto, in casa Pdl, i capigruppo di Camera e Senato spiegano: «Per quanto l’intervento risulti limitato nella sua portata, rappresenta un seppur minino contributo, affinché il sistema politico italiano non torni a essere caratterizzato da una eccessiva frammentazione e dalla rissosa contrapposizione tra micro-formazioni politiche». Una volta tanto, Pd sulla stessa linea. «È stata confermata una larga convergenza», afferma Antonello Soro, presidente dei deputati, «su un testo che rappresenta un punto di accordo importante». «Noi preferivamo una soglia del 3%», ma meglio di niente, sottolinea il dipietrista Massimo Donadi. «Si tratta di un accordo ampio, a esclusione dell’Mpa», rimarca il centrista Rocco Buttiglione. Via libera anche dalla Lega - seppur con qualche «rammarico» - che intanto ottiene la calendarizzazione per il 13 marzo (o giù di lì) del voto sul federalismo fiscale. «È un vero e proprio colpo di Stato, un golpe, una legge ad personam, dove Berlusconi favorisce Veltroni e Di Pietro», urla Paolo Ferrero, segretario del Prc, sotto la sede dei democratici. Si tratta, aggiunge, di una «manovra antidemocratica», ordita da Pd e Idv «per provare a distruggerci definitivamente», grazie a una legge già ribattezzata «salva-Veltroni».

Ma la protesta non finisce qui. Verdi, Sinistra democratica e “vendoliani” gridano «vergogna» nei pressi di Palazzo Chigi, mentre Clemente Mastella e Riccardo Nencini, leader di Udeur e Partito socialista, chiedono un incontro urgente con il premier.

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