Gian Micalessin
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas e l'agonizzante Fatah avevano soprattutto bisogno di un buon pretesto. Israele l'ha fornito al volo. Così con buona pace di entrambi, ma anche di Europa e Stati Uniti, le elezioni parlamentari palestinesi del prossimo 25 gennaio potrebbero venir rimandate. E, con loro, i fantasmi di una vittoria di Hamas e di una tremenda batosta di Fatah e del suo discreditato gruppo dirigente. L'ipotesi di un provvidenziale rinvio circolava da tempo. A renderla probabile, e digeribile, è ora la decisione israeliana di proibire il voto dei palestinesi residenti nella zona orientale di Gerusalemme.
La prima a rivelare il «niet» israeliano è Veronique de Keyser, responsabile di una squadra di osservatori della Ue a Gerusalemme. A informarla sarebbero due alti funzionari governativi spiegando che lesecutivo Sharon non ha alcuna intenzione di favorire una vittoria di Hamas. La reazione palestinese non si fa attendere. Il primo a dar fuoco alle polveri è Nabil Shaath. «Se gli israeliani insistono nel proibire lo svolgimento del voto a Gerusalemme - tuona il ministro dell'Informazione dell'Anp - allora non ci saranno elezioni». Subito dopo anche il presidente Abbas, strenuo sostenitore fino a ieri della necessità di votare a tutti i costi, prospetta per la prima volta la possibilità di un rinvio. «Ma è una decisione di grande responsabilità - aggiunge - e devo esaminarla assai attentamente». In verità Mahmoud Abbas e la vecchia guardia tunisina di Fatah hanno un gran bisogno di quel posticipo. Le consultazioni locali, tenutesi una settimana fa a Jenin, Nablus e Ramallah, hanno dimostrato che Hamas è in grado di stravincere. Ma la formazione fondamentalista non è l'unico rischio. L'apparizione della lista secessionista guidata dal carcere da Marwan Barghouti e appoggiata dai «giovani leoni» palestinesi rischia di far piazza pulita di Fatah e della vecchia guardia. Abbas per non affondare e scomparire con loro avrebbe un disperato bisogno di prender tempo. Da questo punto di vista la proibizione del voto a Gerusalemme Est rappresenterebbe una provvidenziale ciambella di salvataggio.
Mentre sulla questione del voto palestinese grava il sospetto di una tacita, quanto inammissibile intesa, la situazione sul terreno continua a deteriorarsi. Dopo la caduta ieri di altri cinque missili Qassam sui territori israeliani l'esercito e il governo minacciano di tagliare l'energia elettrica in tutta la Striscia di Gaza. La minaccia, messa a punto dopo l'esplosione, lunedì, di un ordigno non lontano dalla centrale elettrica a sud di Ashkelon, potrebbe diventare effettiva se un missile farà vittime tra la popolazione o colpirà un'infrastruttura rilevante. «L'Anp non sta facendo nulla e la situazione sembra sfuggirgli di mano», ha detto il ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz. Poche ore prima a Gaza un gruppo di militanti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha rapito Hendrik Taatgen, un olandese direttore della Scuola Internazionale Americana di Gaza, e il suo vice belga Brian Ambrosio.
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