Elezioni, quel mondo capovolto di Milano

Magari Guido Podestà avrebbe potuto risparmiare, a sé e a noi, il ballottaggio del 21 giugno. Cominciando un po’ prima la campagna elettorale avrebbe racimolato quelle poche migliaia di voti necessari per evitarlo. Ha forse fatto invece eccessivo affidamento sul successo del Pdl, previsto travolgente. Ma da anni si va ripetendo che i consensi alla Lega sono dovuti al radicamento sul territorio, all'impegno nella società e al rapporto diretto con gli elettori. Ebbene non basta ripeterlo, bisogna tenerne conto e tentare di fare altrettanto.
Almeno in campagna elettorale. Inoltre stavolta a Milano è successo qualcosa di inconsueto: alle provinciali il Pd va meglio in città mentre il Pdl si rafforza nell'hinterland. Da tempo accadeva il contrario: maggioranza moderata nel capoluogo, provincia alla sinistra. Cos'è cambiato? Dovrebbero chiederselo i dirigenti locali del Pdl come pure a palazzo Marino. Tenendo conto anche di un dato molto significativo. L'ex sindaco Gabriele Albertini, in lista per il Parlamento europeo, è il terzo più votato a Milano dopo le superstar Berlusconi e La Russa. In città ha preso perfino più voti di Mario Mauro, che può contare sulla poderosa macchina organizzativa di Cl. Insomma i milanesi dimostrano di conservare un buon ricordo dell'«amministratore di condominio». E anche su questo, forse, il sindaco Moratti dovrebbe riflettere. Durante la sua campagna elettorale insistette molto, certamente mal consigliata, sulla «discontinuità», prendendo in tutti i modi le distanze dalla gestione Albertini.
Acqua passata. Ora, sia agli europarlamentari milanesi e lombardi sia al futuro presidente della Provincia ci sentiamo di fare tre raccomandazioni. Primo, rilanciare alla grande l'Expo, facendola finita con le liti su finanziamenti e poltrone.

Secondo, far finalmente partire, dopo decenni di ritardi e di annunci a vuoto, l'ammodernamento del sistema di infrastrutture del nostro territorio, pena l'inevitabile declino. Terzo, la trasformazione della Provincia di Milano in città metropolitana. E se la Lega si oppone per ragioni di cadreghini, è l'occasione per dimostrare che non è vero che è Bossi a dettare l'agenda.

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