Eliminare i prefetti è una sciocchezza: usiamoli come ispettori

Ma a che servono i prefetti? Alle cerimonie ufficiali tu vedi quel signore con compiti di imprecisata burocrazia che viene ossequiato da tutti, appare in prima fila alle inaugurazioni e non sai spiegarti la sua vera funzione. Per la pubblica sicurezza c’è già il questore, per compiti di rappresentanza istituzionale e civile c’è già il sindaco, il presidente della Provincia, il governatore. Ma lui, con quell’aria di prestigiosa suppellettile, sfoderato nelle occasioni solenni come i polsini d’oro, che ci sta a fare? Sembra un lascito umbertino, un ricordo napoleonico o addirittura un rudere tardoromanico; comunque il rappresentante di un’Italia sparita da tempo. Era l’Eccellenza laica che faceva da contraltare all’Eccellenza clericale, il Vescovo; ma quel piccolo mondo antico di Fogazzaro e poi di Guareschi è finito già da un pezzo. Tramontò nel ’68, poi fu affossato con l’avvento della globalizzazione, dell’Unione europea, del federalismo. Ora, nella furia di tagliare tutto meno che la casta politica, qualcuno a sinistra chiede di sopprimere il prefetto, entità inutile e fuori corso, come la lira e il calesse. Anziché tagliare le province che costano un occhio della testa e servono solo a mantenere qualche migliaio di politici, impiegati e tirapiedi, vogliono eliminare i prefetti che non fanno parte della popolosa casta dei politici e costano poco, come ha documentato il Giornale. L’ultimo a proporlo è stato Enrico Letta del Pd.
Invece sarebbe un errore eliminare i prefetti, e non lo dico solo per buona creanza verso le eccellenze loro o per rispettoso feticismo del passato. Lo dico per ragioni di pubblico interesse. Non difendo la loro sopravvivenza solo perché inoffensivi. Si dovrebbe invece valorizzare il loro ruolo odierno, anzi addirittura partire dai prefetti per una riorganizzazione dello Stato. Mi spiego. Nell’attesa incredula che si compia il miracolo annunciato da Berlusconi, su cui personalmente insisto ormai da tempo, di dimezzare il ceto politico, dimezzando il numero dei parlamentari, accorpando i Comuni più piccoli, abolendo le province e alleggerendo le assemblee regionali, con i relativi codazzi del personale di servizio, si potrebbe ridare ai prefetti il ruolo di decisori pubblici, allargando la sfera d’intervento. Il vantaggio di una loro maggiore e migliore utilizzazione, e magari di una loro migliore formazione e selezione, sarebbe evidente: i prefetti sono dirigenti pubblici che non passano dal voto e dunque possono permettersi di assumere decisioni impopolari, provvedimenti duri ma necessari, esercitando controlli sul territorio non solo in ordine alla sicurezza. Quel che non possono fare sindaci, presidenti e ministri, che temono di perdere voti o di alienarsi il sostegno della Casta, possono farlo i prefetti: la tutela della salute e dell’ambiente, della spesa pubblica e del rigore delle istituzioni; possono occuparsi d’immigrazione clandestina e di altre emergenze sociali. Non dunque questioni di pubblica sicurezza per le quali ci sono già i questori, i commissariati di polizia e i comandi dei carabinieri. Ma questioni di cittadinanza, di rapporti tra cittadini e istituzioni. Il prefetto avrebbe tutti i titoli, e l’autorevolezza, per tutelare i cittadini dagli abusi di potere o i diritti dei consumatori dai raggiri commerciali. Un decisore autorevole e non di parte.
Ma i prefetti sarebbero preziosi anche per un’altra ragione. Da quando vige il bipolarismo dell’alternanza le classi dirigenti mutano a ogni elezione grazie a uno spoil system selvatico che prescinde da meriti, urgenze e capacità. Certo, fa parte del gioco della democrazia; ma avere un ceto di dirigenti che non cambia col cambiare delle maggioranze di governo, che risponde allo Stato e non ai partiti, garantirebbe la continuità e il rispetto degli interessi super partes.
Per questo non basta prolungare la loro vita artificiale, ma occorre rigenerare il loro ruolo. Non smantelliamo le prefetture né proseguiamo la loro lenta erosione che partì addirittura dalla Costituzione - che non prevedeva più i prefetti ma solo commissari di governo, con compiti più limitati - per arrivare alla riforma del famoso titolo V della Costituzione, che li spogliava ulteriormente delle loro funzioni. Ma, al contrario, potenziamo il ruolo dei prefetti, riqualifichiamo le funzioni, istituendo adeguate scuole di formazione dell’alta pubblica amministrazione.
Il prefetto, figura napoleonica importata dal Regno piemontese, fu il cardine dello Stato italiano ed ebbe una funzione decisiva nella nascita e nello sviluppo del nostro Paese. Ebbe una funzione decisiva anche durante il fascismo, perché bilanciava i poteri «politici» del Podestà o del Federale e ribadiva il primato dello Stato sul Partito. Decisiva fu l’opera dei prefetti contro la mafia: si pensi al prefetto di ferro Mori, in Sicilia. Sono stati una salvezza anche in democrazia, soprattutto quando cadono le amministrazioni comunali.

A Bologna, ad esempio, dopo due sindaci di sinistra travolti dall’irruzione della sfera amorosa, ora c’è largo consenso intorno al commissario prefettizio che guida la città. Insomma, lunga vita al prefetto. Non riduciamolo a un trofeo muto e a una specie eccellente in via d’estinzione.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica