C’era una volta Elio, il cantante delle Storie tese. Era un tipo talentuoso, capace di stupire e di rompere gli schemi, sempre e comunque. Andava a Sanremo a cantare «se famo du’ spaghi» e rivoluzionava Sanremo. Contaminava alto e basso, sapeva far notizia ogni volta che mischiava baseball e musica, volgarità e Frank Zappa, vitelli dai piedi di balsa e Brecht. Insomma, un genio.
C’era una volta, e non c’è più. Elio - con o senza Storie tese - è sempre più il replicante di se stesso, quasi una caricatura dei personaggi caricaturati negli anni dalle Storie tese. Un Mangoni (uno dei personaggi degli Elii), senza però l’autoironia che era alla radice del personaggio di Mangoni.
Funziona così anche in radio. Quando Sergio Valzania, direttore di Radiodue, tirò fuori dal suo cilindro di idee (ed è una grande fortuna che ci sia un direttore capace di sfornare idee) l’utilizzo del cantante delle Storie tese come narratore del De bello gallico, la forza della novità era assicurata. Stavolta, invece, Elio replica con il The Bello Civili e l’effetto ripetizione è prevalente.
Le dieci puntate del ciclo di Alle otto della sera firmato da Elio e da Caio Giulio Cesare in onda ancora da domani a venerdì, dalle 20 alle 20,30, su Radiodue, con la regia di Giancarlo Simoncelli, sembrano un po’ i saldi di fine stagione. A partire dalla presentazione scritta con cui Elio ha dato il suo viatico al ciclo: «Se dici Giulio ti viene in mentre Andreotti; se dici Cesare ti viene in mente Previti; se dici Giulio Cesare, ti viene in mente Giulio Cesare. Giulio Cesare ha avuto una vita molto avventurosa, ma fortunatamente per lui è vissuto molti anni fa, circa 2000, per cui se ha commesso dei reati questi sono sicuramente prescritti; e pur avendo ammazzato milioni di persone, direttamente o indirettamente, nessuno parla male di lui, anzi, tutti ne parlano benissimo! Questo è il primo insegnamento che ci viene da Giulio Cesare: se commettete dei reati gravissimi sappiate che fra 2000 anni tutti potrebbero parlare bene di voi». A voi questa roba fa ridere? A me, sinceramente, no. E non per motivi politici o perché io ritenga troppo pesante questa satira. Anzi. Non mi fa ridere proprio perché non fa ridere.
Allora è tutto da buttare il nuovo ciclo di Elio? No, qualcosa da salvare c’è: a partire dalla scelta del narratore di soffermarsi sull’aspetto ingegneristico dei racconti del capo romano.
E poi, nel raccontare, Elio è didascalico. E, quindi, radiofonico.
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