Elisabetta II, ma prima nelle comiche

Elisabetta II, ma prima nelle comiche

Non ha pace la Regina. E se scrivo e dico Regina va da sé che trattasi di Elisabetta II d’Inghilterra. Non ce ne sono altre per il popolo, non soltanto quello made in United Kingdom. Dall’anno di disgrazia 1952 (morte di suo padre Giorgio VI) a oggi la Sovrana che vanta il record mondiale di durata sul trono, avendo superato quello detenuto da Vittoria (tutta roba in famiglia), la Regina dicevo, ha offerto il meglio e il peggio di sé, sotto variate forme. È vero che gli inglesi sono bravissimi a rendere ridicole le cose più serie, è anche vero che la Windsor family in tal senso è depositaria, con quelle facce da museo delle cere, di un repertorio da oggi le comiche, è vero anche che il fascino del the alle cinque e del palazzo di Buckingham riesce a sotterrare l’intera commedia con tutti i commedianti, sta di fatto che Elisabetta si porta appresso il fatto di essere nata al numero 17, fatidico, di Bruton Street, nel quartiere sciccosissimo di Mayfair, ovviamente a Londra.
Raccontano gli elisabettologi che quando salì sul camion, come autista per l’esercito, durante la guerra, inciampò nella gonna che praticamente era una tonaca, aggiustò l’indumento e mise in moto sbagliando la marcia. Roba normale visti i tempi e considerata l’educazione della signorina che era venuta su tra le coccole di Crawfie, la sua governante (Marion Crawford) e lo studio della lingua francese che le sarebbe servita poi per i suoi viaggi in Canada. Ma dall’ascesa al trono (1952) in poi Elisabetta è passata alla cronaca, in attesa di traslocare nella storia, per fatti che poco avrebbero a che fare con la vita normale di una regnante. Per esempio l’affetto, eccessivo, per i cani, i Welsh Corgi Pembroke, in numero industriale, bruttarelli assai ma fedeli alla Sovrana che pensa prima a loro, dicono i maligni di corte, e dopo ai parenti, compreso il gaffeur Filippo, consorte.
Vogliamo parlare, ad esempio, del colore degli abiti, tailleur, cappotti, con annessi cappelli, regolarmente indossati da Elisabetta? Cosa che del resto accadeva anche alla regina madre e altri componenti la Royal family? Il protocollo e il cerimoniale di Buckingham hanno però chiarito che non si tratta di esibizionismo o di preoccupante daltonismo. Semplicemente, per evidenti motivi di sicurezza, la Regina deve farsi individuare con facilità da chi Le vuole bene e da chi La deve proteggere, in caso di accidente e incidente, dunque, Elisabetta ha già i fari abbaglianti accesi. La borsetta poi? Serve per tenere qualcosa tra le mani, altrimenti che postura dovrebbe assumere sua Maestà? Accadde un giorno che al ricevimento ufficiale di Buckingham la signora Thatcher si fosse presentata indossando gli stessi abiti di Elisabetta. Sconcerto e ironie tra gli astanti. Il giorno dopo il capo protocollo di Downing street telefonò al collega di corte: «Sarebbe opportuno, in occasione dei prossimi incontri, che ci tenessimo in contatto per sapere come si veste la Sovrana, così evitando equivoci e ilarità». Replica made in Windsor: «La regina non ha l’abitudine di occuparsi di come vestono i suoi ospiti».
Ha subito tre interventi chirurgici, due alle gambe, uno al viso, non ha mai rivelato e nessuno ha tentato di farlo, le sue preferenze politiche, dicono che Winston Churchill, McMillan e Wilson siano stati i preferiti, la Thatcher tra le ultime al punto da farsi scappare una dichiarazione terribile: «La detesto cordialmente». Elisabetta, oltre ai cagnolini, va pazza per i cavalli da corsa, anche quelli per l’equitazione, sa montare, va a caccia, si diletta in fotografia, non rilascia interviste, si allena in casa con un sacchetto di zucchero sulla testa, ha lo stesso peso della corona, uno dei suoi maggiordomi restò stupito vedendola passeggiare in pantofole con quel pacchetto sul capo; accetta le gaffes (di recente Bush l’ha decorata alla memoria: «Quando lei nel 1796... volevo dire nel 1976...», è preferibile non toccarla, si sconsigliano forme affettuose, goliardiche di interazione.

Lei stessa al massimo propone un inchino, così fece al passaggio del carro funebre di Diana, un leggero cenno con il capo prima di far rientro nel domicilio, ad accarezzare i corgies e a ordinare, secondo tradizione di popolo e oggi di storici, un cocktail, base di gin con variazioni secondo le proposte del barista di corte. A ottantuno anni non ha intenzione di abdicare, l’annus horribilis è passato. Forse. Aspettiamo Santo Stefano davanti al televisore, Channel 4, ore 20 e 30: parla David Starkey il terribile.

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