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Elisa&Stefano giovani terribili i nuovi assi del fioretto azzurro

da Torino
A modo loro, entrambi hanno trasformato l’Oval in una bolgia. Uno roteando il fioretto manco fosse un clava dopo ogni stoccata, zompando in pedana, aizzando la folla, sgranando quegli occhioni di siciliano che fanno molto Totò Schillaci. L’altra sbucando dalla panca e guidando la rimonta delle azzurre nella finale a squadre, capolavoro svanito soltanto per un soffio. Stefano Barrera da Siracusa, Elisa Di Francisca da Jesi, marchio di fabbrica del fioretto italiano. I volti nuovi e felici del fioretto azzurro. Hanno stregato Torino, hanno stregato se stessi. È cresciuta all’ombra di Valentina Vezzali e Giovanna Trillini, la bella Elisa, 1 metro e settantacinque, fisico che incanta in pedana e ben si adatterebbe alle passerelle della moda. Giovedì Giovanna le ha passato il testimone quando la Russia sembrava irraggiungibile. L’ha restituito a Valentina che la rimonta era quasi fatta. Oggi ha quasi 24 anni e non guarda più le due immortali da lontano. Combatte con loro, fianco a fianco. Giovedì sera, quando c’era da rimettere in carreggiata una finale balorda il ct Magro l’ha guardata negli occhi: «Ora tocca a te». Panico. «Adesso che faccio?». Un bel 4-1 alla Boiko, la numero uno delle russe, tanto per gradire. Sangue freddo, come una veterana. Lei, che invece è la giovane del gruppo. Dice che ancora le manca «la calma dei forti, quelli che tirano concentrati dalla prima all’ultima stoccata. Io a volte mi distraggo, ho deciso di iscrivermi a un corso di yoga, chissà che non funzioni». Lo sperano in molti perché le manca davvero poco per entrare in pianta stabile nel club delle grandi.
Stefano Barrera è un mastino siciliano doc ed è tutt’altro che timido. Si allenava a Frascati, da quando è tornato a casa sua è sì lontano da Marta Simoncelli, fiorettista e fidanzata, ma ha ingranato la quarta. Due anni fa era in un letto d’ospedale, guai a non finire, oggi non ne vuole più nemmeno parlare. Ne è venuto fuori, «sono uno che non molla mai, resto in pedi fino alla fine», ha scalato gradini su gradini. Fino a quel bronzo dedicato a chi soffre, perché «so cosa significa e vorrei che chi sta male capisse che la vita offre sempre una rivincita». La sua rivincita si è materializzata martedì, un’intera arena ai suoi piedi. Folla in delirio ad ogni stoccata, tifo da stadio. Lui, sotto, a dirigere le operazioni, braccia alzate verso il pubblico a invocare calore. Esuberante, a volte eccessivo. Dice che il suo hobby preferito è la pesca, e sembra incredibile. In pedana diventa un pit-bull: «Chiamare la gente a raccolta e sentirne il boato mi ha dato la carica».


E lui ha smontato gli avversari uno dopo l’altro, esterrefatti di fronte a questo Pierino la peste che a ogni colpo esibiva una capriola e a ogni incontro vinto saltava in braccio al ct Cerioni, «il mio idolo di gioventù, avevo un suo poster in camera, ogni sera prima di andare a dormire di nascosto gli davo il cinque. Ha creduto in me, mi ha messo in squadra anche se c’era chi storceva il naso». Quello stesso Cerioni che allena Elisa Di Francisca, un po’ amico un po’ padre.

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