Ellroy dà la caccia alle sue donne oscure

Ecco l'attesissimo libro autobiografico del maestro americano: una spietata autoanalisi psicologico-letteraria del rapporto con l'universo femminile

Ellroy dà la caccia alle sue donne oscure

«Voglio afferrare il destino per la gola». Con questa minacciosa dichiarazione d’intenti, presa in prestito da Ludwig van Beethoven, si apre Caccia alle donne (Bompiani, pagg. 264, euro 17,50; trad. Carlo Prosperi) il nuovo libro di James Ellroy in uscita oggi contemporaneamente in Italia e negli Stati Uniti. Un memoriale autobiografico a lungo atteso dai fan del romanziere americano, completamento e seguito ideale de I miei luoghi oscuri (Bompiani).
Nel 1958, Jean Hilliker detta la «Rossa», cioè la madre di Ellroy, viene strangolata e abbandonata sul ciglio della strada. Il caso resta irrisolto e il colpevole a piede libero. Il piccolo James matura un odio irrazionale per la «Rossa». Istigato dal padre, il figlio la considera una «poco di buono» ubriacona e bugiarda. La vita di Ellroy deraglia, tra esperienze crude, droghe, alcol, deliri paranazisti, piccoli furti, notti in prigione.
Molti anni dopo, quando è già uno scrittore di successo, Ellroy decide di tornare sul luogo del delitto e avviare una indagine privata sull’omicidio della madre. Non si risparmierà nulla: dalla visione delle foto del cadavere fino a una spietata autoanalisi delle proprie reazioni di fronte a quel terribile fatto. I miei luoghi oscuri è il romanzo dell’ispettore Ellroy sulle tracce dell’inafferrabile killer di Jean. Difficile raccontare l’effetto sconvolgente che questo libro solitamente produce sui lettori, soprattutto se vi si avventurano convinti di trovare il «solito» noir. Ricordo di essermi chiesto, quasi a ogni pagina, come fosse possibile affrontare una simile questione con la freddezza disumana ostentata dal narratore. L’onestà infatti sconfina nella crudeltà. Impossibile però liquidare questo atteggiamento come una spacconata da supermacho, tipica di molti personaggi di Ellroy. L’aridità ostentata è apparente e si rivela l’unica strategia adatta per centrare l’obiettivo del libro, che ha un sottofondo sentimentale: «Voglio trovare l’amore di cui fummo privi ed esercitarlo in tuo nome. Voglio divulgare i tuoi segreti. Voglio azzerare la distanza tra me e te. Voglio darti vita».
A quanto pare, nonostante l’immane sforzo, I miei luoghi oscuri non è stato sufficiente. Quell’enorme seduta di autoanalisi non è riuscita ad «azzerare la distanza». Nella vita di Ellroy i conti non tornano mai. C’è sempre Jean di mezzo. E il rimorso. La certezza insensata di essere stato il mandante di quell’omicidio. Febbraio 1958, la «Rossa» beve, esagera, pone l’irresistibile domanda che nessun genitore dovrebbe fare: «Preferisci stare con tuo padre o con me?». «Mio padre» è la risposta secca. Parte un ceffone, il bambino vola a terra, si spacca la testa, il sangue zampilla. James maledice la madre e ne invoca la morte. Jean viene assassinata tre mesi dopo.
Il tentativo di esorcizzare la maledizione e dimenticare la madre terrà occupato Ellroy per il resto della vita. Farà di lui uno scrittore («Scrivo storie per consolare lo spettro che è Lei») e un vorace predatore di donne, sempre perdute perché riplasmate sul fantasma di Jean e quindi sospinte nell’irrealtà. Ma ora Ellroy ha una nuova strategia per liberarsi dall’ossessione. Rievocherà le «Altre» per eclissare la «Rossa» schiacciandola sotto una mole di pagine dedicate alle sue «rivali». Caccia alle donne è quindi l’educazione sentimentale di uno schizzato di ultradestra. Uno sfigato totale, riscattato da un’enorme forza di volontà. Uno scrittorucolo di terza fila che, forzando le convenzioni del genere hard boiled, finirà sullo scaffale dei classici accanto a Dostoevskij.
Il giovane Ellroy è «confinato in una furibonda adolescenza» fatta di fantasie folli. A tratti comica: si compra gli occhialetti a raggi X per spogliare le ragazze, prepara pozioni da piccolo chimico per indurre strane voglie nelle amiche. A tratti morbosa: diventa un «artista dell’intrusione con scasso», inaugura una carriera di guardone, ruba biancheria intima. Spia le ragazze e le loro madri. Ciò che accade fuori dalla sua testa, sempre più eccitata dalla droga, non ha alcuna importanza: «Niente del mondo reale mi toccava o scomponeva. Jack Kennedy fu eletto, fu spompinato, fu seccato. E chi se ne frega?».
Nel 1965 muore papà. Ellroy ci dà dentro con alcol e farmaci, si imbarca in una serie di strampalate storie di sesso ma anche in una carriera di crescente successo. Jean è ancora una presenza costante: «I miei libri sugli scaffali riempivano i miei vuoti psichici e ricucivano la ferita Hilliker». Dopo essersi ripulito, cerca pace in alcune relazioni «regolari». Fallite. Perché l’unica donna «reale» di quegli anni vive nella sua immaginazione ed è la «Dalia nera», l’aspirante attrice hollywoodiana squartata in periferia, al centro di un clamoroso caso di «nera» anni prima. «Reale» perché in lei è facile vedere in controluce il profilo di Jean. E non solo il suo: «Betty Short (la Dalia, ndr) era morta a 22 anni. Era una fanciulla fatua. Incarnava i sogni da svampita scolpiti nell’America del dopoguerra. Lei era me. Lei non era riuscita a superare le sue stramberie ed essere qualcuno». Dalia nera sarà il primo bestseller mondiale di Ellroy.
Poi ci sono le donne della maturità, due matrimoni falliti e un pugno di relazioni importanti. C’è la moglie Mary da cui fugge nel momento stesso in cui le mette l’anello al dito. C’è Helen, distrutta dall’egocentrismo del marito. C’è Joan che percepisce il disastro imminente e se la fila. C’è Karen che non intende impegnarsi perché «Tu non hai idea di cosa sia una famiglia. Hai solo il tuo pubblico e le tue prede». Soprattutto c’è un esaurimento nervoso che rispedisce Ellroy all’inferno proprio mentre è all’apice della fama. Il brillante conferenziere in tournée non appena scende dal palco si rinchiude in albergo, oscura le finestre e inizia a perlustrare il proprio corpo alla ricerca del tumore che lo ucciderà. Pura paranoia. Ogni inutile biopsia dà lo stesso verdetto: sano come un pesce. L’oblio dei sedativi diventa indispensabile. L’ansia lo manda fuori giri, le pasticche gli «permettono di camminare per il mondo senza lacrime e timori». Ellroy cerca la quiete chimica con la stessa intensità con cui da ragazzo cercava la scossa delle amfetamine. Nel decennio appena trascorso finisce più volte in overdose.
Il sorprendente capitolo finale è la storia di una resurrezione, l’incontro con una donna rigeneratrice, Erika. E come l’Ellroy disperato non fa sconti alla disperazione, l’Ellroy innamorato non teme l’amore, con un improvviso rovesciamento di tono: «La nostra profezia è stata comprata al prezzo di una mutua avventatezza e del rifiuto di rinunciare a credere nell’amore. Insieme, siamo sesso e coraggio». Federico Moccia è dietro l’angolo.

Infatti arriva anche la frase da cioccolatino: «Io sono niente senza di lei. Lei è niente senza di me». Tranquilli, è sempre Ellroy come dimostra la chiosa seguente: «L’ho sempre considerato un epigramma per mezzeseghe. Sono certo che mi ingannavo».

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