Roma«Introverso», dice Francesco Rutelli. «Tutto chiuso al suo interno», afferma Sergio Chiamparino. Se non è zuppa è pan bagnato: il Pd parla con se stesso, ma fuori non lo sente quasi nessuno. E riesce a dire poco o niente, spiega ancora Rutelli, di «quel che interessa veramente agli italiani».
Certo, agosto è un mese di stanca per la politica, e la partita congressuale assorbe tutte o quasi le attenzioni dei dirigenti del principale partito di opposizione. Ma è una partita poco emozionante per il vasto pubblico, e pure sui giornali non appassiona più di tanto. Così, in questo agosto, di Pd si è scritto soprattutto per le nomine di Rai Tre che non riesce a fare perché litiga sui nomi. Non è un caso se questanno la Festa nazionale del Pd (ex Unità) fa poca notizia sui giornali, ed è stata decisamente surclassata dal concomitante Meeting di Rimini. Si dirà, quelli di Cl avevano Tony Blair che parlava come Paolo di Tarso; avevano una schiera di ministri e un plotone di cardinali, vescovi e monsignori, avevano persino Pierluigi Bersani che ha fatto quasi più rumore a Rimini (facendo arrabbiare mezzo Pd) che a Genova, cioè in casa. Daltronde alla festa del Pd lintervento più seguito, applaudito e ripreso da giornali e tv è stato quello di Gianfranco Fini.
Un caso? Non proprio. Lentusiasmo dei piddìni per lex leader di An non si spiega soltanto con la normale tattica di unopposizione che gioca a inserirsi nelle contraddizioni interne alla maggioranza. E neppure col fatto che Fini, su temi importanti come la bioetica, dica cose assai più chiare e coraggiose di molti dei leader del Pd, e quindi riempia un vuoto nel cuore dei suoi militanti. Cè qualcosa di più, che dovrebbe preoccupare il gruppo dirigente di quel partito: quello che Il Foglio di Giuliano Ferrara chiama «il tridente di centrodestra» che sta cercando di aprire una breccia nellelettorato di centrosinistra. Da un lato Umberto Bossi e la Lega, che con i loro messaggi «vernacolari» e populisti, comprensibili anche nelle osterie e nelle bocciofile, e con il loro capillare insediamento sul territorio insidiano sempre più da vicino la base popolare della vecchia sinistra. Dallaltro le suggestioni liberal di Fini che incantano una parte dei suoi elettori «colti».
Risultato, un rischio di declino elettorale. Con Bossi che annuncia gradasso che lanno prossimo si vuol pappare pure lEmilia Romagna. Affermazione che solo un paio danni fa sarebbe sembrata degna del barone di Münchhausen, ma che oggi viene presa in considerazione. E riceve risposte prudenti da sinistra: «Aspettative lievemente sovrastimate, cerchiamo di non esagerare», frena Bersani. Mentre Piero Fassino avverte: «La Lega è un avversario che va preso sul serio». Un esponente Pd che presidia il difficile territorio del Veneto, Massimo Cacciari, confidava qualche giorno fa: «Non faccio che incontrare vecchi compagni che ricordavo come quadri del Pci che mi salutano affettuosamente e poi mi dicono: però sai, Massimo, io ora sto con la Lega... Di questo passo finiamo spazzati via».
In compenso, anche al Sud non va un granché, per il Pd. Nella Puglia dalemiana si attendono sviluppi delle inchieste e si tratta freneticamente con lUdc per convincerla ad allearsi, a costo di scaricare Vendola. E ci si fanno dispetti: Franceschini si è presentato a Gallipoli, nella tana del lupo («Ma non è una roccaforte dalemiana, è solo un comune dove è stato eletto», ha spiegato pungente) per sventolargli sotto il naso di avergli sottratto un ex fedelissimo come lassessore brindisino Flavio Fasano. In Campania, invece, si è riaperto leterno tormentone-Bassolino. Il governatore (che si dice aspiri a tornare sindaco di Napoli) è ancora forte sul suo territorio, e il suo appoggio alle primarie conterà eccome, a ottobre: la Campania vanta ben 119mila iscritti sugli 820mila del Pd, il 15%. È seconda solo allEmilia. E Bassolino sostiene Pierluigi Bersani.
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