Invidio gli scrittori che non scrivono libri. Li senti che sono scrittori da come parlano, da cosa leggono, per come guardano la realtà e da cosa restano colpiti. Hanno l’inadeguatezza tipica di chi non sa stare al mondo e conosce la realtà tramite il pensiero e la letteratura più che la vita pratica. Eppure hanno il pudore, e a volte l’orrore, di scrivere libri. Sognano libri troppo perfetti per poi accontentarsi di esiti umani, troppo umani. Sono lettori troppo esigenti per non esserlo anche da autori. Sanno che la perfezione più alta è per sottrazione, come la parola più grande è nascosta dentro il silenzio. Non vogliono accostare il nome all’opera per non mortificare ambedue. Trovano che scrivere un libro sia una vanità imperdonabile, una forma pietosa e puerile di elemosinare attenzione ai passanti, per essere poi dimenticati su uno scaffale.
Gli scrittori potenziali tengono alla loro potenza, non vogliono abortire o svilirsi nell’atto, preferiscono tenersi la purezza di autori inviolati; non coltivano la presunzione della gloria, per un difetto d’orgoglio che coincide poi con un eccesso. Non accettano di farsi misurare da lettori, librai, distributori, recensori, giurie, non entrano in fiera, non vogliono diventare prodotti. Non si sprecano per finire tra le mani di gente magari ignara se non ignorante, e inadeguata. Sanno che i più grandi successi nascono da grossi malintesi; di solito il successo nasce quando il talento di uno si prostituisce alla stupidità dei molti.
Ho conosciuto alcuni veri scrittori che non hanno mai scritto libri. Erano intenti a scrivere la loro biografia nella vita per dover versare qualcosa in una reliquia degenerata in prodotto denominata libro. O erano troppo schivi, un po’ depressi, amavano l’ombra e preferivano conoscere i destinatari dei loro pensieri per decidere di volta in volta se valeva la pena o meno di offrirsi a loro. Aborrivano i rituali d’autore, le bozze, l’anticipazione, l’uscita, le copie da firmare e da inviare, le vendite, il mercatino delle recensioni, le classifiche, la corsa dei premi, abiezione suprema...
Rispetto il loro anonimato e non faccio i loro nomi. I loro miti erano Socrate che non scrisse mai nulla, amorosamente tradito dal suo grande allievo; Rimbaud, che smise così presto di scrivere perché l’assoluto non entra in una tazza a forma di pagina; Cristina Campo, che scrisse pochissimo e avrebbe voluto scrivere ancor meno e al termine di un suo scritto chiese di riavere bianche tutte le pagine; Andrea Emo, filosofo introverso, che scrisse tanto ma non pubblicò nulla in vita, con aristocratica jattanza.
Ricordo invece i nomi di altri scrittori casti perché erano comunque firme note e dunque non vìolo la loro riservatezza. Dico scrittori senza libri ma anche giornalisti prolifici come quei donnaioli plurimi aggravati che non si sposano mai. Ricordo Alberto Giovannini, gran firma del giornalismo che si vantava di non aver mai scritto un libro e un giorno mi umiliò dicendo che si sentiva a disagio che io, scrittore (avevo ventisei anni e già tre peccati in forma di libro sulle mie spalle), fossi andato a trovare lui, che ne aveva quasi cinquanta più di me, di anni e di giornalismo, e non aveva mai scritto un libro... Capivo quanta ironia c’era dietro quella finta riverenza del vecchio giornalista verso il giovin scrittore.
Penso a Geno Pampaloni che non volle mai scrivere libri e poi cedette in età senile. Qualcuno è caduto in extremis con le memorie, ma erano testamenti, segni funesti di declino, quasi necrologi anticipati... Altri furono formidabili editor e ostetrici di libri altrui, ma non pubblicarono nulla a firma loro, almeno in vita. Tra i viventi penso a Giuliano Ferrara, scrittore di qualità, ginecologo di firme e mente acuta che con sublime civetteria non ha mai scritto un libro.
Ma soprattutto penso al Mite Ignoto, lo scrittore sobriamente nascosto, che non ha mai dato segni della sua malattia, di cui non si sa nulla, neanche il nome, la voce, il volto. Lui che poteva scrivere fior di libri e non l’ha fatto, per quell’estetica della rinuncia a cui Pessoa dedicò, firmando con eteronimi, alcuni suoi testi. Magari scrive di nascosto, l’Agrafo Ignoto, come faceva Zorro che era un infingardo señorino nella bella società messicana; poi si mascherava e diventava un intrepido spadaccino. L’Agrafo Ignoto preferisce gli orali agli scritti, è un grande conversatore, ma non vuol lasciare traccia, perché verba volant ed è più bello volare che stare lì inchiodati alla pagina.
Rispetto a tutti loro io mi vergogno per la mia incontinenza, per i miei venticinque libri pubblicati. Li invidio, ma non riesco a frenarmi. Ma il libro per me è ragione di vita. Se dovessi scegliere tra il libro e la vita sceglierei il libro. E dico libro, non raccolta di articoli o pamphlet concepito come un articolo più lungo, più facile e più redditizio. Pur inattendibile, elogio gli scrittori che non scrivono libri. Per ogni vero scrittore che non scrive libri ci sono cento finti scrittori che purtroppo li pubblicano. Ogni libro non pubblicato sale in cielo e diventa un gradino nella scala per il paradiso.
Proposta finale: lanciamo un referendum popolare per indicare il miglior scrittore che non scrive libri. Con un sontuoso premio che sono disposto a sponsorizzare, più ricco del Nobel. A patto che lo scrittore vergine, coerente con la sua castità, si astenga pure dal ritirare il premio, pena la decadenza.
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