Eluana, la figlia di una violenza che ha resistito anche all’aborto

Avrebbe dovuto essere una storia come mille altre: il certificato di aborto consegnato al consultorio come fosse il numeretto dal salumiere; i «sette giorni di riflessione» vissuti come un’inutile perdita di tempo e, finalmente, l’operazione che avrebbe liberato Margherita da quel bambino frutto della violenza del suo convivente marocchino, che la riempiva regolarmente di botte e che voleva costringerla ad abortire.
Invece, il 9 febbraio, la fine della storia è stata un’altra. Era il giorno in cui Eluana Englaro sarebbe morta e i volontari del centro di aiuto alla vita ingauno di Albenga - che della battaglia per non interrompere l’alimentazione della ragazza avevano fatto un motivo di vita, loro e di Eluana - erano tutti in sede. C’era Ginetta Perrone, che da sempre si occupa dell’accoglienza di chi bussa alla porta; c’erano Francesca, Ilaria e Simona, che immagazzinano le scorte alimentari per i neonati di famiglie in difficoltà; c’era Silvia, che è la psicologa del centro e c’era Eraldo che è una specie di Alan Ford della situazione, che «di tutti è il più bello, ci sta proprio per quello nel gruppo Tnt». Ecco, Eraldo è così: l’uomo immagine, il comunicatore, il gestore del Centro di aiuto alla vita del centro savonese che tiene i contatti con le istituzioni e incrocia parole affilate quando c’è da polemizzare con qualcuno sull’argomento della difesa della vita.
Proprio quel giorno, il giorno di Eluana, Margherita si è presentata dai volontari di Albenga con in mano il foglio con tutto il necessario per abortire: firma del ginecologo, timbri e ceralacche della Asl al posto giusto, data dell’intervento in sala operatoria per abortire già fissata. Mancava solo la volontà netta di non volere la bambina che Margherita aveva in grembo. Tanto è vero che, leggendo un numero verde su un manifesto affisso nel consultorio, le viene comunque la curiosità di andare a sentire cos’hanno da proporle quei signori che invitano a non abortire.
E così, man mano che Margherita si lascia andare, man mano che prende confidenza e fiducia in Ginetta, Eraldo e in tutti gli altri volontari - una specie di dream team della vita - viene fuori un’altra storia. Una storia di trentaquattro anni sbagliati: droga, spaccio, due figli adolescenti già affidati all’ex marito, un compagno marocchino che la picchia regolarmente. Il corpo è una mappa di lividi per le botte prese. La gravidanza, il frutto della penultima violenza. L’obbligo di abortire, il frutto dell’ultima.
Forse, è proprio da lì, dall’ennesima costrizione di quell’uomo, che Margherita vede un’altra fine per la sua storia. E, di fronte ai sorrisi di quelli del Centro di aiuto alla vita, si scioglie. Racconta, soprattutto, che aveva già tanti dubbi. Ma che un particolare è stato decisivo per portarla lì: l’ecografia che le ha fatto il ginecologo e quel puntino su cui ha puntato il suo strumento. «Vede, signora, questo è il cuore del suo bimbo che pulsa».
Ecco, da lì, comincia un’altra storia. Perché visto sull’ecografo sembra un videogame, uno di quei puntini da Space invaders. Ma, comunque, non può lasciare indifferenti. La scritta game over, la fine di quella vita, non è una passeggiata. Ma, come in tutti i giochi elettronici, ci sono dieci secondi per decidere se continuare la partita con altre monetine.
Quei metaforici dieci secondi arrivano durante il colloquio con i volontari ingauni. Quelle metaforiche monetine le forniscono Ginetta, Eraldo e i loro ragazzi: il vescovo di Albenga-Imperia Mario Oliveri mette a disposizione una residenza protetta, dove Margherita può essere sicura di non essere nuovamente minacciata dal compagno marocchino. L’assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Albenga mette a disposizione 400 euro per contribuire al vitto della bimba. Il Centro di aiuto alla vita fa partire un progetto che assicura 160 euro al mese fino al primo anno di vita. I volontari si autotassano e le passano 50 euro settimanali. E la vita sbagliata di Margherita inizia a cambiare. Le prospettive, non solo per la bimba, ma anche per lei, sono diverse. Tanto che Ciangherotti, capo degli antiabortisti doc, l’Alan Ford bello di Albenga, ne approfitta per fare un elogio della 194.

Della 194 vera, però: «Se applicata integralmente, anche nella parte in cui difende la vita e mette a disposizioni strumenti per evitare l’aborto automatico».
La fine della storia è la nascita di una bimba di tre chili e 750 grammi, con gli occhi azzurro scuri, il viso paffuto, una raffica di capelli neri. Piccolo particolare: si chiama Eluana.

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